I tempi che viviamo e soprattutto quelli che vivremo quando sarà passata questa immane tragedia, esigono un recupero forte della semplicità, della chiarezza e della concretezza. Ce ne stiamo accorgendo ogni giorno di più del dramma che coinvolge tutti senza distinzione. All’emergenza sanitaria, priorità assoluta, si aggiunge quella economica che sta travolgendo e coinvolgendo come uno tsunami i mercati finanziari e le borse mondiali. Ci sono, ci saranno, meno soldi e ci auguriamo che tutti ma soprattutto chi governa, si renda conto, seppur con fatica, che i tempi del grande spreco sono finiti e che ognuno, nella propria vita e nelle proprie attività, deve esprimersi con maggiore senso di responsabilità e onestà. Anche nello sport, anche e soprattutto nell’odierno calcio-business.
Vanno recuperati e ripresi quei valori di fondo che si sono persi in nome di interessi di parte o di vere e proprie lobby. Non ho dubbi che anche il calcio di valori ne ha, a patto, naturalmente, che in questo momento li voglia ritrovare ed esprimere. Sotto questo aspetto, ed è paradossale, il Coronavirus per il calcio italiano non è stato il vaso di Pandora scoperchiato ma rappresenta l’opportunità per riorganizzarsi con un ridimensionamento necessario e ripartire, rinascere riformando i tre campionati professionistici e la serie D. Fino a pochi giorni fa non era il Coronavirus a preoccupare Uefa, Federazioni e Leghe ma piuttosto continuare a giocare o riprendere a farlo il più presto possibile, il Covid-19 nella sua dilagante contagiosità sembra aver messo tutti d’accordo con lo stop globale. Si progetta il futuro però sperando che il virus venga debellato entro maggio per portare a termine campionati nazionali e coppe europee. In Italia, lo ha dichiarato Gabriele Gravina, la questione campionati e coppe europee da concludere è di primaria importanza per evitare la crisi del sistema. Con il venir meno di incassi, sponsor e diritti televisivi se non si finirà la stagione, ci sarà un buco di oltre 800 milioni di euro che porterebbe al collasso l’italica pedata. Il Governo, per ora, impegnato con una iniziale manovra “sociale” di 25 milardi per imprese, famiglie e lavoratori, ha necessariamente ignorato lo sport più popolare e che consente agli altri sport di esistere. Le società chiedono almeno 600 milioni di euro per non fallire e sui 20 club di serie A almeno 12 corrono concretamente questo pericolo, figurarsi la condizione nelle serie inferiori. Ecco spiegata la necessità di concludere campionati e coppe anche se il virus non sarà affatto scomparso e debellato. Non voglio passare per lo jettatore di turno, ma vista l’evoluzione del contagio in Europa, credo che a fine aprile non solo il campionato italiano potrebbe chiudersi con un anticipo irreale ma dettato dalla necessità oggettiva di evitare una strage. E stiano bene attenti i padroni del calcio da Gianni Infantino ad Aleksander Ceferin per finire ai nostri presidenti, dovendo noi riferirci necessariamente all’Italia, a non cavalcare l’onda della fretta. Stiamo vivendo un disastro globale, non solo calcistico, di cui nessuno può sapere la fine. A mio sommesso avviso, lo ribadisco, più che pensare a concludere a tutti i costi questa stagione forzando i tempi, occorre pensare al futuro stabilendo una linea comune con gli altri Paesi europei. Un’Europa, che messa alla prova del Covid-19, ha dimostrato per intero la sua fragilità e disgregazione anche in ambito calcistico. È l’occasione, questa, per arrivare ad una comunione di intenti vera sia politica che nello sport e senza che il calcio si astragga dai problemi reali come se vivesse su un altro pianeta. Ripeto, che per evitare problemi, meglio resettare tutto, pensare una A a 22 squadre per poi riportarla a 18 con 4 retrocessioni dirette più 2 attraverso i play out, dividere la B in due gironi e ritornare subito al semi-professionismo per serie C e serie D. Perché dopo questa tragedia, troppi club non avrebbero la forza di ricominciare. In Europa, prima di ritornare alla normalità in tutti i Paesi, si potrebbe creare una sola maxi competizione con gare di andata e ritorno ad eliminazione diretta. È utopia, solo perché Gravina e Ceferin hanno detto l’uno “no” alla A a 22 squadre e l’altro alla necessità di ampliare ancora di più le competizioni europee? Non devono essere loro a decidere ma l’intero universo calcistico con il buon senso. Di questi tempi si può discutere di calcio da giocare tra un mese con ospedali stracolmi e non solo purtroppo? Servono idee ma soprattutto concretezza ispirata a principi e valori veri. Sena pensare a coppe e campionati da concludere a tutti i costi, costi quel che costi. Meglio essere concreti e realisti o apparire saccenti e sicuri come se in pochi giorni potesse cambiare qualcosa?
Ecco perché vogliono giocare a tutti i costi
Nonostante l’emergenza Coronavirus, i vertici del calcio insistono per completare le competizioni