Home Calcio Napoli Dammi tre parole: la settimana azzurra in tre definizioni

Dammi tre parole: la settimana azzurra in tre definizioni

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RESISTENZA: oramai è chiaro. C’è un limite in questa squadra, un problema davvero importante. Ed è possibile che tra le enormi competenze di cui è depositaria la guida tecnica, vi sia proprio questo dettaglio alla voce “nun saccio c’aggia fa’”. Cominciano ad essere veramente troppe le volte in cui il Napoli sembra pronto per la goleada ed invece dopo uno, al massimo due gol come bottino di un dominio assoluto in termini di gioco, finisce col mettere a repentaglio partite per le quali si sarebbe potuto tranquillamente spegnere il televisore ed andare al cinema con la certezza di aver portato a casa i tre punti. Nel caso di specie, la partita col Milan lasciava presagire una passeggiata di salute anche mortificante per l’avversario. Se mi si passa la battuta, temo che i tifosi rossoneri ad un certo punto ci abbiano anche sperato… un passivo di 4, 5 gol avrebbe consentito di mettere alla porta il secondo allenatore in stagione che, incredibile ma vero, sta riuscendo nell’impresa di far peggio del suo predecessore. Ormai i calciatori del Milan hanno la stessa soglia di attenzione che avevano quelli del Napoli sotto Mazzarri nella scorsa annata. La storia è più o meno la stessa: il primo allenatore li ha mandati in confusione, il secondo li ha mandati in crisi esistenziale e nel nostro caso il terzo gli ha dato il colpo di grazia mandandoli in depressione. Infatti a fine dello scorso campionato avrebbero voluto andarsene tutti. Ci sarà la stessa evoluzione anche per loro? A vedere come giocano sarei pronto a scommettere di sì, anche se per loro potrebbe esserci un colpo di scena nel caso dovessero portare a casa il doppio derby di Coppa Italia, cosa che se accadesse, per le forze che si stanno vedendo in campo, sarebbe più sorprendente dell’eliminazione della Juve per mano dell’Empoli, non certo per la qualità tecnica dei calciatori ma per la loro efficienza in campo. Come per noi lo scorso anno, ci si domanda ogni volta che si vede giocare il Milan, come sia possibile che gente di un livello così enorme come Leao, Theo, Pulisic, Joao Felix riescano a giocare in maniera così penosa. Ma noi abbiamo già dato, quindi in bocca al lupo a loro…

 

SEPOFFÀ: Difficile sì, ma continuiamo a sostenere convintamente che si può fare. E pensate che questa affermazione varrebbe anche nel caso del mancato bottino pieno col Bologna. Senza dilungarci ancora una volta con la struttura del calendario che ci attende, abbiamo una squadra che torna ad essere al completo dopo un lungo periodo di incertezze dovute prevalentemente agli infortuni pressoché simultanei dei tre giocatori più forti (o almeno quelli che avevano dato il meglio nella prima parte di campionato): Buongiorno per la difesa, Anguissa per il centrocampo e Neres per l’attacco. Neres ha dimostrato col Milan che è già prontissimo alla battaglia, Buongiorno si è già ripreso alla grandissima. Resta Anguissa che al rientro ha avuto qualche passaggio a vuoto, ma se è vero come è vero che ha rinunciato al giorno di riposo per riprendersi al meglio, vuol dire che lo spirito è quello giusto. E dovrebbe essere anche arrivato il tempo della messa a frutto del mazzo ottagonale cui Conte ha costretto la squadra ad inizio stagione, altrimenti il senso di averli distrutti fisicamente per ritrovarseli nelle condizioni migliori per il rush finale, finirebbe col rivelarsi una metodologia del cazzo anzicchennò. A guardare il fisico dellamadonna di cui fa sfoggio il Lukaku di oggi rispetto a quello di inizio campionato, sembrerebbe proprio che sia d’obbligo abbandonarsi all’ottimismo prorompente e mollare le ansie. E poi sarebbe simpatico vedere il quadriplete oracoleggiato da Frignone Inzaghi dissolversi un titolo alla volta, al netto della personale assenza di particolari antipatie verso le squadre milanesi.

 

STADIO: pare che il fatto cominci ad essere serio. Ovviamente adesso si aprirà il dibattito e le conseguenti, inevitabili, diatribe tra chi si attacca alla nostalgia e pretenderebbe la valorizzazione del Maradona e chi preferirebbe una soluzione completamente nuova e moderna. Alle insignificanti opinioni personali che si sono sciorinate in questa rubrica in quasi due anni, andremo ad aggiungere anche quella relativa a questo argomento. 
Il San Paolo è un cesso a cielo aperto (uso il suo vecchio nome perché sarebbe sacrilego accostare il nome attuale dello stadio all’epiteto che questa struttura fatiscente merita).

Uno scatolone di cemento armato nudo, vecchio di 65 anni, costruito in un’epoca in cui le partite si potevano seguire in due modi: dal vivo o per radio, cosa che spingeva negli stadi una quantità di gente smodata che pur di assistere allo spettacolo di persona avrebbe barattato i propri figli con i bagarini. Riempire gli 82mila posti che contava al tempo era praticamente la regola. Una regola che ha avuto la sua apoteosi nella seconda metà degli ottanta, quando il Masto ci ha regalato un sogno, due scudetti e una Coppa UEFA. Con la ristrutturazione dei mondiali del ’90 si è definitivamente sancita l’impossibilità di rendere quello stadio come l’anfiteatro che avrebbe meritato una squadra amata e seguita come il Napoli. Fu ampliata ulteriormente la capienza, portandola a quasi 90mila posti con delle impalcature improbabili che dopo quelle cinque-partite-cinque giocate nella kermesse mondiale sono rimasti a marcire alle intemperie, sempre inagibili e inaccessibili. L’imbellettamento con i seggiolini colorati e l’area VIP degli ultimi anni ed il ridimensionamento conseguente a 55mila posti, ha trasformato il cesso in toielette, ma resta comunque veramente scarso come impianto per una squadra con le velleità neanche più tanto nascoste del Napoli, di diventare un team di livello internazionale. Aggiungerei ai disvalori l’inutilissima pista di atletica che costringe ad immaginarsi i calciatori più che a vederli davvero e l’urbanistica suicida di uno stadio nel centro di un quartiere che fa ottantamila abitanti. Tutto questo per dire che speranza di vedere presto de Laurentiis, l’unico che possa riuscirci per capatosta e capacità imprenditoriali, afferri le redini di questa storia e decida di prendere una qualunque delle campagne dell’hinterland per trasformarla nel tempio del calcio di cui abbiamo bisogno. Uno stadio moderno, compatto, sicuro, pulito, facile da raggiungere, facile da lasciare, dove i cessi non siano piscine, dove non si rischi di rimanere incastrati nei tornelli, dove i posti più in basso non ti costringano a tornare a casa e riguardare la partita in TV, dove i posti più in alto non ti costringano ad usare il binocolo per vedere chi gioca, dove i posti in curva non ti costringano a sperare che la squadra segni dal lato tuo perché dall’altro lato dovresti solo immaginarti il gol, dove ci siano dei parcheggi intelligenti e non degli ammassi informi fatti con le macchine accatastate alla cazzo al modico costo di una cena da Cracco in galleria a Milano, che se ti va male devi mandare istruzioni alla famiglia per gli anni a venire perché tanto ci vuole per fare ritorno a casa, dove sia logisticamente possibile organizzare un servizio di sicurezza che eviti a qualche centinaio di persone alla settimana di tornare a casa con una macchina rigata dal parcheggiatore abusivo o con il portafogli sfilato dal borseggiatore di turno, dove ci sia finalmente un museo dedicato alla squadra che contenga i pochi trofei ma l’immensa storia che, è bene ricordarlo, da qui a 18 mesi sarà stata lunga CENT’ANNI. Il Napoli lo merita, Napoli lo merita, i Napoletani lo meritano… e lo merita anche Maradona, di avere uno stadio degno di portare il suo nome.

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