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Calcio, ripartita la Bundesliga. La Serie A forse dal 13 giugno. Ma 9 club, tra cui il Napoli, sono scettici

Oggi è ripartita la Bundesliga, il campionato tedesco. In Italia, invece, ancora non si hanno certezze sulla ripartenza della serie A

Sembrava proprio che dopo l’accettazione da parte della FIGC del protocollo modificato in modo piuttosto rigido dal Governo su suggerimento del Cts, allenamenti di gruppo per il 18 maggio e ripresa del campionato dal prossimo 13 giugno fossero diventate certezze e non pia illusione, essendo state superate tutte le incomprensioni, i contrasti e le polemiche tra politica, ministro Spadafora in testa, e mondo del calcio dopo che Gabriele Gravina, insieme al presidente della Lega di serie A, Paolo Dal Pino, erano stati bravi a compattare i 20 presidenti al momento del “redde rationem”.

Nel tardo pomeriggio di ieri, invece, come un fulmine a ciel sereno, almeno 9 club, tra cui Inter e Napoli, si sono dissociati dall’accordo raggiunto tra Federcalcio e Governo, frenando notevolmente su quello che sembrava essere il vero punto di ripartenza del calcio. I nodi di questa improvvisa marcia indietro sono, a giudizio dei club, da ricercarsi nella impossibilità di attuazione del nuovo protocollo con un ritiro troppo lungo, la responsabilità civile e penale che ricadrebbe tutta sui medici delle varie società se un solo calciatore dovesse essere trovato positivo al virus e la successiva quarantena obbligatoria per tutti i componenti della squadra, staff compreso.

La richiesta di modifica al nuovo protocollo “suggerito” dal Cts, onestamente tardiva, perché erano già noti i punti sui quali gli scienziati avrebbero imposto più che suggerito le variazioni al protocollo elaborato dai medici della FIGC appare ora quasi strumentale rispetto alla reale volontà, di molti presidenti, di concludere la stagione in modo “regolare”, preferendo piuttosto una conclusione anticipata che possa far loro risparmiare sugli stipendi dei loro tesserati.

In verità anche l’Assocalciatori presieduta da Damiano Tommasi ha ribadito le proprie perplessità sulla scrupolosa attuazione di un protocollo effettivamente difficile da attuare perché sottoposto, alla fin fine, ad un’alea che prevederebbe quasi il rischio 0, cosa impossibile trattandosi di un virus ancora poco conosciuto e vista la sua facilità di circolazione. Un bel guazzabuglio che ha trovato nell’incontro di questo pomeriggio tra FIGC, Lega di serie A, il rappresentante della FMSI Maurizio Casasco e il rappresentante dei medici della Serie A, Gianni Nanni, solo dei punti di comune accordo da presentare al Governo e per esso al Cts per trovare soluzione meno gravosa sui punti più spinosi del protocollo. Paradossalmente anche il presidente del CONI, Giovanni Malagò, inizialmente uno dei più severi fustigatori del modo di comportarsi del mondo del calcio si è schierato da parte dei club dicendo che “isolare la squadra per un singolo caso di positività mette a rischio il campionato” auspicando una riforma ed un ammorbidimento sui punti più discussi e contestati del protocollo, imposto, più che suggerito dagli scienziati, per i quali, inutile ripeterlo, far ripartire il calcio era e resta un rischio enorme con il virus che fa ancora migliaia di nuovi contagiati.

Ora, però, al di là di quanto sicuramente verrà rivisto dalla politica per consentire la ripartenza dell’azienda calcio, occorre che il calcio, da solo, con tutte le sue componenti, si dia un codice di autoregolamentazione che preveda un programma a medio e lungo termine per ritornare su livelli di sicurezza, non solo sanitaria, che ne impediscano realmente il default. Spadafora, nel dare mercoledì il via libera del Governo alla ripresa, dopo aver fatto riferimento alla quarantena imposta in Germania alla Dinamo Dresda: “ Se c’è un positivo devono andare tutti in quarantena”, ha dato un’altra frecciata al modo del calcio concludendo :” Siamo consapevoli che la necessità di finire il campionato nasca da motivazioni sportive legittime (lo crede davvero? N.d.r.) e da indiscutibili ragioni economiche di un sistema fragile nel quale ci sono il problema dei diritti televisivi e squadre fortemente indebitate (zacchete…! n.d.r.). Per ripartire, però, ci vuole sicurezza”.

Sicurezza che non ha il calcio, di ripartire né lunedì prossimo con gli allenamenti di gruppo né il 13 giugno con il campionato se dovessero essere mantenuti i “paletti” voluti dal Cts. E questa eventualità, che porrebbe il Governo e il Parlamento di fronte a una decisione rinviata sino ad oggi, getta più di un’ombra sul futuro del calcio, arrivato, nonostante errori e sprechi di denaro, ad essere la terza, quarta azienda del paese non solo per investimenti.

Se si vuole salvare il calcio, con o senza l’aiuto di politica e del Governo, occorre che il calcio stesso, inteso come complesso, guardi con realismo ai tempi che ci e lo attendono, di convivenza più o meno lunga col Coronavirus. Il nocciolo della questione è rappresentato da una serie di aspetti e di decisioni che i protagonisti del sistema calcio hanno puntualmente e volutamente ignorato, ma adesso non più differibili. Primo: l’equilibrio da trovare subito tra costi e ricavi, ricontrattando gli ingaggi alla luce dell’emergenza economico-sportiva; puntando su rose di titolari nei quali l’elemento formatosi nel vivaio abbia una collocazione reale, un ruolo attivo e non di soprammobile per far numero o destinato a creare fittizie plusvalenze per coprire debiti veri.

Secondo: accettare il condizionamento attuale e contingente del campionato per le esigenze televisive, cercando e trovando un accordo con i broadcaster e non intimando loro, come avvenuto mercoledì, di pagare l’ultima rata del contratto, ripensando piuttosto in modo concreto al format e al bilanciamento degli impegni di campionato, con quelli delle coppe e della nazionale. Quindi, terzo: diminuire il numero dei club professionistici sulla base delle risorse finanziarie dei vari club, non ignorando quelle tecniche, per rendere più appetibili l’acquisto dei diritti televisivi anche dei campionati minori. A questi elementi mi permetto di aggiungere la conservazione del meccanismo promozioni- retrocessioni, che diversi presidenti di club di grandi città vorrebbero abolire, magari con l’aggiunta, in un prossimo futuro, dei play-off e dei play-out anche per la serie A.

Realismo, ora più che mai, significa tenere ben saldi i piedi per terra e guardare in faccia la dura realtà che il Covid-19 ci ha imposto per evitare che in futuro spiacevoli e altre tagiche sorprese possano affossare il calcio, visto il penoso e ondivago comportamento del mondo politico, in primis il ministro Spadafora, a tendere una mano sincera al pianeta calcio, dal quale da oltre mezzo secolo sta attingendo fior di miliardi, prima in lire ora in euro.

Va detto, che non c’è stato bisogno del Coronavirus, della politica, dei politici o dei moralisti dell’ultima ora- per interessi personali, questi ultimi- per sottolineare da tempo la corsa folle di presidenti di società, di Leghe e Federazione verso il baratro del fallimento. Il grande Antonio Ghirelli, in un articolo pubblicato nel 2001 sulle pagine del Corriere dello Sport, scriveva: “ Siamo in grado di trarre un primo bilancio da questa demenziale corsa al rialzo ed è un bilancio allarmante: passaporti fasulli, inchieste giudiziarie su questi e altri scandali come quelli degli additivi chimici, calendari insostenibili, infortuni in serie e di gravità e durata illimitate, violenze in campo e fuori, costi sociali in pericolo e repentine variazioni in borsa ad ogni stormir di foglie. Evidentemente è venuto il momento di fermarsi e riflettere prima che sia troppo tardi, prima che il giocattolo si rompa e comprometta lo sviluppo del calcio spettacolo, ormai irreversibile”.

Se aggiungiamo Calciopoli 2, il fallimento di molti club, Napoli e Parma in primis, la scomparsa di molte società professionistiche ripartite dai dilettanti, la prepotente e arrogante invasione di agenti, procuratori e intermediari con prebende milionarie, cosa è cambiato ad oggi dalla visione illustrata con grande lucidità da Ghirelli? Direi nulla, anzi c’è stato l’ulteriore imbarbarimento del calcio sempre più business e sempre meno spettacolo sportivo.

E oggi, per molti presidenti e dirigenti, il Covid-19 è diventato l’alibi da sfruttare per coprire le loro scellerate scelte economiche e tecniche. “Evidentemente – scriveva Ghirelli – è venuto il momento di fermarsi e riflettere prima che sia troppo tardi…”, lanciando un SOS rimasto inascoltato. Se non si ripensa un calcio diverso, dove il campo e il gioco tornino ad essere i veri protagonisti per riguadagnare credibilità e la passione dei tifosi, questo sport non avrà molto futuro. Ripensi in fretta, Gabriele Gravina e con lui tutte le componenti del calcio, a quello che già 19 anni fa aveva scritto Ghirelli, senza la spada di Damocle del Covid-19 sul collo. O di altri virus e contagi in agguato per un mondo, quello del calcio, senza  vaccini per salvarsi se non lo farà da solo…

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