Qualche giorno fa, su questa testata, auspicammo vivamente l’ipotesi che De Laurentiis e Spalletti (loro, ma solo loro) per il bene del Napoli autodecretassero un personalissimo e definitivo silenzio-stampa.
I nostri auspici non hanno ricevuto ascolto, i due imperterriti continuano a sproloquiare. Ma se per De Laurentiis, considerata la sua attitudine alle scorribande comunicative, l’esito era in effetti scontato, non altrettanto può dirsi per l’allenatore, che invece in questi ultimi giorni ha detto di tutto e ha sollevato pesanti dubbi, subito rimarcati dagli osservatori, sulla reale condivisione di intenti con la società.
Di fronte al presidente che, incautamente, ha pronunciato la parola scudetto, Spalletti ha mostrato, senza riserve, le sue perplessità.
È un po’ come mettere le mani avanti. Troppo cocente, ancora, soprattutto tra i tifosi, la delusione per il tricolore mancato, nel campionato appena finito. Meglio essere prudenti, soprattutto alla luce del ridimensionamento del tetto ingaggi, che lascia presupporre anche un ridimensionamento del livello tecnico della squadra.
Lui, Spalletti, è sempre convinto della straordinarietà del terzo posto. Ma nessuno se lo fila, lo scudetto era a portata di mano, lo aveva peraltro anche lui espressamente citato come conquista vicina per la quale ci si dovesse battere. Ed è invece sfuggito per un incomprensibile black out e per una serie di errori concentrati soprattutto in tre partite. Errori dei quali Spalletti è certamente corresponsabile, non fosse altro che per i cambi cervellotici operati in quelle partite “incriminate”.
E non solo. Apprestandoci alla nuova stagione insiste su certe posizioni che non solo appaiono censurabili sul piano tecnico, ma producono incertezze e rivelano incongruenze con i piani societari. Tanto da sollevare comprensibili dubbi sulla sua reale volontà di pilotare il Napoli anche per il prossimo campionato.
Prendiamo il caso Meret, un capitale della società, pagato 30 milioni e colpevolmente deprezzato. Di fronte alla prevedibile rinuncia ad Ospina De Laurentiis, giustamente, si sta organizzando e tratta per il prolungamento del contratto a Meret, che finalmente potrebbe sentirsi titolare indiscusso.
E Spalletti che ti fa? Se ne esce, improvvidamente, con l’elogio del portiere che sa giocare con i piedi, prendendo in contropiede presidente e direttore sportivo facendo intendere, chiaramente, di non aver alcuna fiducia nel portiere friulano, notoriamente bravo a parare con le mani, come si conviene ad uno che fa il suo mestiere.
Questa storia è veramente assurda. L’abbiamo ereditata da Gattuso, e i guasti di quella gestione ce li ricordiamo (vedi gol di Immobile) e sono riemersi anche durante la gestione Spalletti (vedi autogol del frastornato Meret contro l’Empoli due mesi fa). Ora in molti, abbacinati dalle chiacchiere dei sostenitori della “ripartenza dal basso”, cominciano a credere veramente che sia importante che un portiere sappia giocare con i piedi. E’ il calcio del futuro, dicono, scimmiottando Gattuso, che a sua volta è scimmiottato da Spalletti. Una bufala colossale.
Da che mondo è mondo, da che calcio è calcio, il portiere, anche secondo regolamento, è l’unico, fra gli undici, che può utilizzare le mani. E infatti le ha sempre utilizzate. Tutti i più grandi, da Zamora a Yashin, a Zoff, per finire ai giorni nostri, a Cech, Casillas, Buffon, sono stati grandi “paratori”. E nessuno si è mai sognato di pretendere che sapessero usare bene anche i piedi. Lo faceva, di istinto, Garella e con lui il Napoli vinse il primo scudetto. Ma si limitava a respingere i tiri degli avversari con i piedi, non si preoccupava minimamente di far ripartire, pericolosamente, l’azione dal basso. Bianchi lo avrebbe messo fuori rosa.
Ora sta lentamente imponendosi questa moda suicida, che procura solo patemi d’animo, autoreti (vedi appunto l’ultimo Meret) e pochi frutti in termini di reali vantaggi di gioco. Con le avversarie, soprattutto le “piccole” che praticano il pressing alto sarebbe cosa buona e giusta liberare invece al più presto l’area di rigore e i dintorni dal pallone.
Vaglielo a spiegare a Spalletti. E soprattutto a fargli capire che con un attacco formato da Osimhen, Lozano e il nuovo arrivato, il georgiano dal cognome impossibile, tutti straordinari contropiedisti, un portiere dovrebbe rilanciare, possibilmente con le mani, come faceva Reina, il pallone immediatamente per tentare di colpire la difesa avversaria sguarnita. Don Luciano, ripartenze immediate e veloci, altro che dal basso.
P.S. Consiglio a Meret: più che rinnovare, provi a squagliarsela al più presto possibile. Qui non tira aria buona per lui.