Secondo Watzlawick, ogni comunicazione contiene un aspetto di contenuto (messaggio verbale costruito con le parole) e uno di relazione (costituito dal linguaggio del corpo, ovvero non verbale). Abitualmente, quando pensiamo alla comunicazione, la nostra attenzione si focalizza sul linguaggio. Pur tuttavia se una persona decide di stare in silenzio, ugualmente continuerà a trasmettere messaggi su se stessa attraverso la postura del corpo, l’espressione ed il modo di gesticolare, l’intonazione e il volume della voce, elementi che forniranno in chi ascolta infinite indicazioni su chi gli sta parlando. Per semplificare: la comunicazione verbale è attenta al che cosa si dice, mentre quella non verbale è attenta al come questo qualcosa viene detto. Guardare o non guardare negli occhi una persona trasmette un messaggio dotato di molta forza, in quanto rivela l’interesse che proviamo nei suoi confronti, così come lo sguardo serve a regolare il rapporto di vicinanza o distanza con l’interlocutore, in quanto il contatto visivo reciproco contribuisce a creare un rapporto di intimità. Annuire con la testa alle parole dell’assistito dà segnale di assenso, ma anche di incoraggiamento e comprensione, di intimità e vicinanza affettuosa. Pure l’accompagnare i propri discorsi con gesti che si riferiscono al parlato aumenta e migliora l’espressività e il significato. Non di minor importanza è il movimento del corpo. Una postura ravvicinata indica attenzione, diversamente da quella ritirata che si interpreta come freddezza o rifiuto. Nei casi in cui la relazione di aiuto implica un contatto corporeo, è bene ricordare che il tipo di contatto cambia man mano che aumenta il grado di intimità fra le persone coinvolte. Manifestazioni quali abbracciare, baciare, accarezzare, stringere affettuosamente possono essere di grande aiuto per un malato che chiede sostegno, ma altri tipi di contatto più finalizzati a manovre corporee (igiene intima, cambio abiti) possono anche ledere il senso di pudore della persona coinvolta. Il nostro mondo soggettivo e privato è denso di linee di confine che esigono riconoscimento e rispetto da parte degli altri. Parlare senza parole e ascoltare con gli occhi sono dunque le chiavi che, al di là del linguaggio, ci permettono di entrare nel mondo di chi ci è prossimo e soffre. Ma questo tipo di comunicazione non è utile solo per chi richiede la nostra vicinanza. È soprattutto utile per se stessi perché offre uno specchio in cui guardarsi e conoscere chi siamo quando entriamo in contatto con la malattia.