Fino all’anno scorso la giornata di Sant’Antonio Abate era caratterizzata da inseguimenti e battaglie tra le forze dell’ordine e bande di ragazzini che nascondevano pezzi di legname per poi accendere i “fuochi”. Adesso il Covid ha spazzato via anche quest’usanza. Ma non altri aspetti della festa, che segna una svolta tra il passato e il futuro in vista della primavera: “Sant’Antuono, Sant’Antuono, la pandemia scaccia via!”. Una ricorrenza per la prima volta senza falò, anche se non si può escludere che qualche gruppo di minorenni in serata tenti lo stesso di accendere qualche cippo…
Una tradizione che si perde nella notte dei tempi e che a Napoli ha il suo fulcro nell’area tra Porta Capuana e via Foria dove c’è la parrocchia dedicata al santo: un tempio (finalmente liberato dai ponteggi) dove, dopo sei anni, dovrebbe riprendere – nel rispetto delle misure antiCovid – il rito della benedizione degli animali. Ricorrenza legata ai cicli della natura e alla cultura contadina (e che per alcuni segna l’inizio del Carnevale), con Sant’Antonio invocato come patrono dei contadini, macellai, allevatori e degli animali domestici (la cui perdita avrebbe provocato povertà e stenti alle comunità rurali); e, da qualche anno, a Napoli, “eletto” anche patrono dei pizzaioli, che in concomitanza festeggiano il Pizza Day (ci sarà anche un “focarazzo” simbolico, senza partecipazione popolare).
Ritenuto un santo taumaturgo, Sant’Antuono (così chiamato per distinguerlo da Sant’Antonio di Padova) era un eremita egiziano vissuto nel quarto secolo dopo Cristo. Una figura al centro di mille leggende. Rappresentato spesso con accanto un maialino (si recò all’inferno con un maialino per rubare il fuoco al Diavolo e darlo agli uomini che non l’avevano). Si attribuisce a lui la nascita del monachesimo (alla fine del 1200 i monaci Antoniani curavano l’herpes zoster mediante il grasso di maiale misto ad alcune erbe). Una credenza popolare vuole che aiuti a ritrovare gli oggetti perduti : “Sant’Antonio dalla barba bianca, fammi trovare quel che mi manca”.
Da sempre il fuoco ha una funzione purificatrice, fecondatrice e di prosperità (in questo caso nel passaggio dall’inverno alla imminente primavera, sperando in una abbondanza di raccolti). Un modo di richiamare la buona sorte attraverso l’accensione di “cippi”, che allontanano le malattie e le sofferenze, per scacciare la malasorte e il malaugurio . Si è sempre usato gettare nei “cippi” anche oggetti di casa vecchi, come a voler segnare un taglio col passato, con desiderio di rinnovamento. Stavolta appuntamento rimandato per la pandemia: “ Sant’Antuono, scacciala via”