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New York e l’Aja: i tribunali e l’Ucraina

Sbarazzarsi di Donald Trump per via giudiziaria è il peggiore dei mezzi, per il discredito che ne deriva a una magistratura che a parere di molti – a torto o a ragione – s’è già guadagnata sufficiente discredito per l’invasione di campo politico in alcuni casi o per la non invasione in altri. Ma liberare l’America dai funambolismi verbali di Trump ridarebbe ai repubblicani la speranza di riconquistare quella minoranza di moderati centristi che in Occidente assegna la vittoria elettorale e quindi negli USA la Casa Bianca. Ron De Santis apparentemente promette più discrezione e fortune o almeno – a considerare i risultati disastrosi di Joe Biden, col regalo della Russia alla Cina – assicurerebbe guai minori. A cominciare – in base a quanto ha finora affermato – da un diverso rapporto con Mosca, simile a quello di Trump.

Un mandato d’arresto per il presidente della Federazione russa alla vigilia di un vertice con il presidente della Cina e in concomitanza con il ventennale dell’invasione dell’Iraq (fu sconvolgente per la falsità dei motivi addotti, per il milione di vittime e per le conseguenze geopolitiche nefaste), non può non far storcere il naso al pensiero che il responsabile massimo di quell’orribile macello, George Bush junior, sia stato neppure sfiorato da un mandato d’arresto, mentre Putin, certo, non doveva attaccare l’Ucraina ma qualche motivo per farlo gliel’avevano offerto con la NATO straripata a est, il legittimo presidente ucraino defenestrato, gli accordi di Minsk traditi, il Donbass russofono teatro di repressione.

Semplicemente ridicolo il compiacimento di Biden per la decisione del Tribunale dell’Aja. Gli Stati Uniti, infatti, si guardano bene dal riconoscerlo. Come, d’altronde, la Russia, la Cina, l’India o Israele, a voler citare i Paesi più significativi. Insomma, a dirla in modo comprensibile, la stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta di quella Corte se ne impipa. Ma a Biden certe contraddizioni scivolano come pioggia sull’ombrello. Mai come negli ultimi decenni l’Occidente accusa un serio deficit di leadership.  Il declino degli Stati Uniti s’è accompagnato alle presidenze di Clinton, Bush jr, Obama, Trump (che però ha “firmato” l’accordo arabo-israeliano) e  Biden (che ha invece “firmato” quello tra Mosca e Pechino). L’Unione Europea resta invece una confederazione di Stati con lingue diverse e interessi troppo spesso contrastanti – il pubblico riconosce a malapena i tentativi disperati di Macron di darle un senso – che non sia quello di sudditi di Washington verbosi, anziani e panciuti – e i blazerini colorati di Ursula von der Leyen.

Stati Uniti, Gran Bretagna e Polonia si confermano i più risoluti nella strategia di indebolire la Russia attraverso l’Ucraina. Incassano il sostegno dell’UE e il voto del parlamento svedese all’adesione alla NATO. Ma la missione di Xi Jinping a Mosca, con l’arrivederci a Pechino, testimonia che il risultato è stato l’impegno a una collaborazione sempre più stretta tra l’Impero Bicefalo e il Celeste Impero, e spinge la Cina a rifornire armamenti prodotti in loco o nella stessa Federazione russa. Nel frattempo decolla (con uno stanziamento equivalente a un primo miliardo di dollari, come ha sottolineato il ‘Figaro’) il progetto del gasdotto Forza di Siberia 2, che s’affiancherà al Forza di Siberia 1 e promette 50 miliardi di metri cubi di gas supplementari annui alla Cina, un centinaio dal 2030.

Mosca ha superato l’Arabia Saudita come primo fornitore di energia di Pechino. Nel giro di un solo anno è cresciuto di circa il  30% l’interscambio russo-cinese, raggiungendo i 190 miliardi di dollari. Prevale la Russia, che ha esportato 114 miliardi di dollari, in massima parte energia (ma a prezzi scontati a circa 30 dollari al barile), a fronte di un’importazione (segnatamente beni di consumo, microchip e semiconduttori, macchinari) per 76 miliardi di dollari. “L’anno prossimo supererà i 200 miliardi”, assicura il capo del Cremlino. I due terzi degli scambi già avviene non più in dollari ma in yuan e rubli. Certo, la Cina non garantisce alla Russia gli introiti dell’Occidente. Ma su 193 Paesi solo 33, per quanto economicamente tra i più importanti, hanno aderito alle sanzioni contro la Russia. E le apocalittiche previsioni – in conseguenza appunto delle sanzioni e del blocco dei depositi russi nelle banche estere (ora calcolati in almeno 300 miliardi di dollari) – si sono rivelate inesatte: grazie ai quattrini ch’erano stati messi da parte, agli aumenti dei prezzi di petrolio e gas dei mesi scorsi, alle importazioni parallele e soprattutto ai nuovi mercati sostitutivi (in attività e in fieri) a cominciare dall’indiano. Le previsioni indicano una contrazione del Pil attorno al 2-2,5% per quest’anno, tuttavia ridotto già allo 0,5% nel prossimo.

Merita ancora qualche nota la Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja. Da non confondere con la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, pure ubicato all’Aja, con competenza sulle controversie tra Stati. Né da confondere con il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, pure delle Nazioni Unite, che si occupò dei crimini di guerra nell’ex Jugoslavia negli anni Novanta e che vide poi alla sbarra i presidenti della Serbia, Slobodan Milosevic, e della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, Radovan Karadzic, ma tenendo in nessun conto quelli commessi da Paesi NATO, ad esempio con i proiettili all’uranio americani. Utilizzati, peraltro, già nella guerra del Golfo del 1991 contro le forze dell’Iraq.

Proiettili all’uranio impoverito che – per avere un’idea – hanno seminato la morte tra civili e militari non solo iracheni e serbi ma nelle stesse file della NATO che li utilizzava. Questi proiettili raggiungono una temperatura di ben 3mila gradi penetrando facilmente persino le armature più resistenti dei moderni carri armati. Ma liberano anche ‘nuvole’ di particelle cancerogene. Solo per quanto concerne i militari italiani – ricordava l’altro giorno ‘Libero’ – “si parla di 366 morti e 7mila500 ammalati dopo le missioni in Bosnia nel 1995 e in Kosovo nel 1999”. Da altri conteggi 500 i deceduti. Un massacro che Roma ha digerito sommessamente. Nel 2001 Carla del Ponte, che guidava il Tribunale per l’ex Jugoslavia, chiese invano che l’utilizzo di questi proiettili americani fosse considerato crimine di guerra. Mandato di cattura pure per Clinton e lo stesso George Bush senior?… Suvvia!

Se i proiettili all’uranio verranno forniti da Londra a Kiev – ha avvertito Putin – “la Russia sarà costretta a reagire” perché “l’Occidente collettivamente ha deciso di combattere contro la Russia fino all’ultimo ucraino”. E l’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov, ha denunciato che “i Paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti hanno deciso di portare l’umanità sull’orlo di un Armageddon nucleare”. Ancor più chiaro il vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitrij Medvedev: “Grazie a Dio, abbiamo la superiorità nelle forze nucleari intercontinentali…e ciò è vitale per l’esistenza del nostro Paese, perché altrimenti saremmo stati fatti a pezzi. E’ dal crollo dell’URSS che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti cerca di distruggerci”.

La Convenzione, cioè il trattato istitutivo, della Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja venne adottato dalla Conferenza di Roma nel 1998 (in vigore dal 2002). Significativo che esponenti di punta siano oggi due esponenti delle nazioni maggiormente impegnate contro la Russia. Infatti la CPI è composta da presidente (dal 2015 il polacco Piotr Józef Hofmański), procuratore generale (il britannico Karim Ahmad Khan), 18 giudici e il cancelliere. La Corte dell’Aja non concede l’immunità nei casi di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra. Hanno firmato l’ordine di cattura i giudici Rosario Aitala, italiano; Tomoko Acane, giapponese; Sergio Ugalde, costaricano.

La ‘condanna’ di Vladimir Putin sentenziata senza un regolare processo, senza un difensore (che avrebbe dovuto scegliere l’accusato). Il capo del Cremlino è stato accusato del trasferimento coatto di 6mila adolescenti in 43 strutture della Russia: 7 delle quali si trovano nell’attigua Crimea e 12 lungo la stessa costa del Mar Nero, un’altra decina nella capitale Mosca e nelle città di Ekaterinburg e Kazan. Sott’accusa per i trasferimenti anche Maria Ivova-Belova, commissaria della Federazione russa per i bambini. Il consenso dei familiari non è stato considerato sincero perché condizionato dalla presenza stessa dei militari. Un semisconosciuto centro di ricerca dell’Università di Yale ha parlato di “programmi di rieducazione russi” svolti in queste strutture. Ma trattandosi del Donbass, abitato in massima parte da russofoni e zona di combattimento da cui tirar fuori i minori e non solo, i dubbi sollevati da alcuni osservatori sono legittimi. Neppure si capisce perché mai gli “educatori” non avrebbero dovuto stilare programmi culturali russofoni, bensì… giapponesi o indonesiani. Evacuazioni di civili ucraini si sono susseguite sull’altro fronte. Peraltro, come ha pubblicato la “Washington Post”, Zelensky, tra le nuove armi chieste all’Occidente e agli USA in particolare, avrebbe inserito anche le bombe a grappolo, vietate da tutte le convenzioni internazionali perché particolarmente mortifere per i civili.  Inoltre, l’Ucraina era ed è famigerata non solo per la corruzione che permea praticamente ogni ingranaggio dello Stato (come hanno dimostrato anche gli ultimi scandali che – con la stampa tacitata e l’opposizione terrorizzata, in carcere o sottoterra – ha avuto più clamore all’estero che in patria). L’Ucraina è famigerata pure per il numero di bambini abbandonati. Conta, infatti, 105mila orfani, il più alto numero d’Europa! E denunciare che una parte di quelli trasferiti in Russia sarebbero stati sottratti a quelle “carceri” definite orfanatrofi per essere dati in adozione, per essere finalmente accolti in una famiglia, appare nient’affatto scabroso. Mosca mente? Certo, non dev’essere escluso. Sono stati in realtà registrati dai media casi di “recupero” di ragazzini e casi di scambio con prigionieri russi. Ma quanti sono e in quale percentuale sul totale? Lungi dal voler difendere gli uni o gli altri, ma non può esistere soltanto la verità di una parte.

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