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Napoli città allo sbando, ha scassato davvero tutto

Ormai ce l’abbiamo e ce lo teniamo. Fino a maggio dell’anno prossimo non avremo scampo. Più volte abbiamo sfiorato la liberazione, quando, tronuante faceva trapelare ipotesi di candidature a destra e a manca. Ma poi non se ne è mai fatto nulla e mai si è scollato da quella poltrona-calamita di sindaco di Napoli.
Dieci anni di fallimenti, la città abbandonata al suo destino, al degrado, all’incuria, al disordine civico, all’assenza totale di servizi, primo fra tutti quello dei trasporti urbani.
La rivoluzione arancione del Che Guevara in salsa vesuviana si è miseramente vaporizzata.
Ai tempi trionfanti della bandana, nei minuti seguenti alla prima elezione, aveva pronunciato la frase che resterà scolpita nella storia: “Abbiamo scassato!”. Un lapsus freudiano. Invece del passato prossimo avrebbe dovuto usare il futuro: “Scasseremo!”. C’è riuscito.
Luigi de Magistris si avvia a chiudere malinconicamente la sua esperienza di primo cittadino. Aveva promesso l’impossibile, pensava di poter risolvere tutto con la sola onestà (che gli va riconosciuta), che è un prerequisito, ovviamente, ma che da sola non basta. Ne sanno qualcosa i grillini alla Di Maio che credono ancora che per fare (bene) politica basta sconfiggere la corruzione e la povertà.
D’altronde che si sia verificata una virata rispetto alla rutilante progettazione originaria se ne sono accorti numerosi assessori “di peso” (a cominciare da Narducci e Realfonzo) cooptati in giunta e scappati a turno lungo tutti questi dieci anni, e persino il suo fidatissimo capo di gabinetto.


In compenso ha promosso a cariche impegnative, anche di partecipate, esponenti dei centri sociali, barman ed ex detenuti.
In dieci anni gli impegni preannunciati si sono rivelati solo parole al vento.
Appena eletto, ingenuo, disse che entro sei mesi la differenziata a Napoli sarebbe arrivata al 70 per cento. Una previsione azzardata, considerata la viscerale idiosincrasia dei napoletani verso il rispetto delle regole. Ma lui, che negli anni da magistrato era stato lontano da Napoli ed aveva quindi perso il polso della città, era per principio contrario ai termovalorizzatori, ed avendo ereditato dalla Iervolino il progetto di realizzarne uno, mise le mani avanti. Con la differenziata, diceva, avrebbe risolto tutto. Una bufala. E infatti solo un mese dopo la trionfante promessa del 70 per cento eccolo bocciare ufficialmente la realizzazione dell’impianto. Se non ci fossimo imbattuti in de Magistris, probabilmente oggi lo avremmo già in funzione ed avremmo sì risolto il problema dei rifiuti. Altro che differenziata.
Sempre in quei frangenti e sempre in tema di rifiuti promise anche che le tariffe sulla raccolta (Tari) sarebbero state basate sulla effettiva quantità prodotta. Stiamo ancora aspettando.
E così continuando gli annunci si sono sistematicamente succeduti: il 2015 sarà l’anno della pulizia definitiva, l’anno del decoro, presto un impianto di compostaggio a Scampia, poi l’impianto di compostaggio non serve più. E ancora un’ordinanza per creare una discarica in città nell’area ex Icm e un nuovo annuncio sull’impianto di compostaggio che si sarebbe dovuto fare a Napoli Est. Tutto e il contrario di tutto.
In Europa, nei centri urbani e anche nelle capitali ci sono termovalorizzatori. Solo a Napoli non si possono fare perché inquinano. E intanto la nostra munnezza la portiamo fuori, al Nord e in Europa. Per trasportarla paghiamo più di duecento euro a tonnellata. Ci guadagnano quelli che la trasportano e quelli che la ricevono, che la inceneriscono e ne traggono energia che rivendono. Noi paghiamo soltanto.
Per descrivere tutti gli altri fallimenti non basterebbe un intero giornale. Proviamo a riassumerli.


Monumenti abbandonati al degrado, tesori dell’Unesco che cadono a pezzi, basta segnalare come sineddoche il complesso della Scorziata, nel cuore del centro antico, ridotta a rudere con gli interni crollati e l’esterno tenuto in piedi dai tubi innocenti.
E vogliamo parlare della Villa Comunale? Già a suo tempo sfregiata da una avveniristica ristrutturazione inconciliabile con la sua austerità originaria, oggi versa nel degrado più assoluto. Uno scempio. Aiuole e viali senza manutenzione, tracce di lavori avviati e mai completati, aggressioni di giorno e di notte, la Cassa armonica trasformata in stenditoio per panni, pericolosi cani randagi che impazzano e intimoriscono.
Capitolo trasporto pubblico: la metro più bella del mondo è diventata una metro virtuale. Nel senso che le stazioni sono un incanto, attraggono turisti a frotte persino in questi giorni di paura da Covid, ma i treni, per i quali le stazioni sono state costruite, latitano. Non funzionano. Un giorno sì e un altro pure o non partono proprio o si fermano a Dante. Chi deve raggiungere piazza Garibaldi è costretto a scendere a Museo e passare sulla vecchia linea 2.
Quanto ai bus, il bilancio è avvilente: stanno peggio della metro. Se ne vedono circolare solo pochi esemplari. Una rarità. Il 139, che collega il Vomero alto e il Vomero in genere al centro, transita mediamente ogni ora. Non bisogna aggiungere altro. Un altro capitolo triste riguarda i parcheggiatori abusivi. Sotto la sua tollerante gestione hanno finito con l’occupare praticamente tutto il territorio urbano. E’ una vergogna nazionale, che ci ferisce tutti, ma proprio tutti. Tranne De Magistris che non ha mai avviato un’azione seria con i vigili urbani per ridurli all’impotenza. Basterebbe solo presidiare in forze le zone in cui impazzano ed impedir loro di taglieggiare i cittadini.


Stendiamo un velo di pietoso silenzio su altri capitoli amari, il traffico, le buche e il lungomare liberato. Liberato da che cosa? Si anima e prende reali forme di un aggregato urbano solo dal venerdì alla domenica sera, occupato da venditori ambulanti che lo trasformano in una grande fiera paesana, con zucchero filato, pop corn e chincaglierie. Per tutti gli altri giorni della settimana è contraddistinto da un silenzio surreale, un deserto spoglio e inanimato. Passateci il lunedì sera. Tratterrete a stento le lacrime.
Così de Magistris si appresta a lasciarci Napoli. Una domanda sorge spontanea: ma perché solo annunci? L’uomo è volitivo, perché non ha dato seguito alle promesse? Semplice: perché il suo animus non era destinato al recinto ristretto di una città, seppur di rilevanti proporzioni. Il suo dna tenderebbe a farlo spaziare ben oltre. Interessarsi dei problemi spicci della città che governa non è il massimo delle sue aspirazioni. Oggi come oggi, non lo dice, ma lo si capisce, prova un forte sentimento di invidia per Di Maio. Su quella poltrona avrebbe voluto sedersi lui. E non gli sarebbe stato difficile far meglio dell’attuale responsabile della Farnesina. Più volte lo abbiamo sorpreso a fare l’occhiolino al terzomondismo d’antan. Voleva armare una flotta di quattrocento imbarcazioni per raccattare migranti nel Mediterraneo. Stupore e ilarità ne hanno accolto l’annuncio. Pensate un po’ voi. Napoli insomma gli andava stretta. In tutti questi anni, risalendo dal mese scorso al 2015 si è prodigato in centinaia di incontri istituzionali. Haricevuto il presidente dell’Ecuador, il console del Perù, il console del Marocco, l’ambasciatore della Serbia, il console di Francia, l’ambasciatore di Algeria, il fratello minore di Che Guevara, il vice ambasciatore di Israele, l’ambasciatore del Venezuela, lo sceicco saudita in odore di acquistare il Napoli (un dispetto a De Laurentiis?), il regista Ferzan Ozpetek, l’ex ministro greco Varoufakis e il sindaco di Betlemme. Napoli? Era in tutt’altre faccende affaccendato.

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