Spentosi l’entusiasmo per la schiacciante vittoria di Gaetano Manfredi, neo sindaco di Napoli, appare opportuna, per non dire obbligatoria, una riflessione più serena sull’esito della competizione elettorale. Sine ira ac studio, avrebbe detto Tacito. Quindi più semplicemente affidandosi alla lettura dei numeri, che ci spinge a giudicare senza emozioni ideologiche.
Ebbene i numeri dicono, inequivocabilmente, una verità (esito esattamente da noi previsto alla vigilia): Manfredi ha stravinto grazie al reddito di cittadinanza. Senza del quale sarebbe stato condannato ad un sempre pericoloso ballottaggio. Un risultato pertanto drogato da un fattore che nulla ha a che vedere con la politica e con il progetto di rilancio della città, che avrebbero dovuto essere gli unici criteri ispiratori del consenso.
Per suffragare questa affermazione basta semplicemente affidarsi, appunto, alla lettura dei numeri.
Prima del voto si conoscevano gli ultimi dati forniti dall’Inps relativi al mese di luglio 2021: nella città di Napoli figuravano ben 183mila (sì, proprio così) nuclei familiari percettori del reddito di cittadinanza. Più dell’intera Lombardia e dell’intero Veneto sommati.
Era pertanto elementare prevedere che questi percettori del reddito avrebbero votato per il candidato appoggiato dai 5 Stelle e la cui vittoria avrebbe comunque garantito continuità al ricevimento del sussidio. E’ prevalso l’istinto di conservazione.
Si potrebbe obiettare: ma perché Manfredi, da sindaco, può influenzare una norma nazionale, valevole su tutto il territorio? Certo che non può, almeno direttamente. Ma pensate solo per un momento ad un’ipotetica e contemporanea sconfitta di Manfredi a Napoli, di Gualtieri a Roma (ancora possibile) e di Lorusso a Torino (ancora possibile). Con un Pd a pezzi e i 5 Stelle praticamente cancellati dal panorama politico nazionale Draghi avrebbe impiegato meno di un minuto a programmare e deliberare una decisa falcidia di questo obolo, che se in moltissimi casi è venuto effettivamente incontro ad esigenze vitali di poveri disperati, in molti altri si è dimostrato solo un grazioso ed inspiegabile regalo a truffatori, lavoratori in nero, mafiosi e parcheggiatori abusivi.
Che gli sconfitti di questo turno elettorale avessero qualcosa da temere come ripercussione a livello governativo è del resto confermato dalla tempestività con la quale già martedì sera il decisionista Draghi ha annunziato, senza timori nei confronti di un Salvini alle corde, la stretta fiscale, comprensiva di tasse sulle rendite, riduzione delle detrazioni, razionalizzazione delle accise e soprattutto riassetto del catasto, un autentico uppercut quest’ultimo al capo della Lega. Che potrà protestare quanto vuole, ma che sta pagando a caro prezzo la sua scriteriata presa di posizione su non vax e green pass (i migranti erano un pericolo, la pandemia lo è un po’ di meno, che strano modo di intendere la sicurezza dei cittadini).
A parti invertite, pertanto, cioè con il Pd e i 5 Stelle bastonati dagli elettori, sarebbe stato gioco facile per il premier imporre una sterzata su un provvedimento ormai impopolare, che oltre ad erodere miliardi alle casse dello Stato, si è rivelato un clamoroso flop quanto all’obiettivo finale, quello di favorire l’occupazione attraverso i navigator, i fantasmi inventati da Di Maio, lo statista che affacciato al balcone aveva annunciato l’abolizione della povertà in Italia.
L’affermazione che Manfredi ha vinto soprattutto grazie al reddito di cittadinanza è suffragata non solo dai numeri precedenti il voto, ma soprattutto dai numeri, impietosi e inoppugnabili, che emergono dai risultati delle municipalità.
Il Movimento 5S è ridotto ai minimi termini in tutta Italia. Percentuali che non superano le dita della mano. Desaperecido. Solo a Napoli ha superato, invece, le due cifre, attestandosi oltre il 10 per cento. E scendendo ancor più particolareggiatamente nell’esame dei flussi ci si accorge che i grillini hanno tenuto solo nei quartieri popolari, vincendo addirittura nelle municipalità di Scampia-Secondigliano (boom del 15%) e di Miano-San Pietro a Patierno (quasi 12%). E si sono piazzati secondi, alle spalle del Pd, in altri quartieri popolari del centro storico come San Lorenzo-Vicaria e della periferia orientale, San Giovanni-Barra. Fiasco quasi completo, invece, al Vomero e a Chiaia, i quartieri della borghesia.
Nelle periferie, dove si concentra il maggior disagio sociale, ma anche e, purtroppo il maggiore tasso di illegalità, Manfredi ha fatto incetta di voti ed ha scansato un ballottaggio che avrebbe potuto riservargli rischi imprevedibili.
Ora comunque è chiamato ad un compito immane: raddrizzare una città ridotta allo sbando da dieci anni di disastri di De Magistris. Dieci anni indimenticabili, li ha definiti lui, ed ha ragione. I napoletani non li dimenticheranno certo, li ricorderanno come un incubo dal quale finalmente si sono liberati.
Per vincere la sfida Manfredi, innanzitutto, non dovrà farsi condizionare dalle pretese (che verranno) dei 5 Stelle e soprattutto da De Luca, il suo grande e interessato sponsor. E magari dovrà darsi una svegliatina per correggere l’immagine sonnolenta che ha fornito da candidato. Anche questo servirà.
Quanto alle cose da fare, che saranno tantissime e concrete, bisognerà che scenda sulla terra e abbandoni quei tratti da sognatore che hanno contraddistinto i suoi timidi proclami in campagna elettorale.
Il cardinale Sepe, se fosse stato ancora in carica, nel dargli il viatico dopo la vittoria gli avrebbe detto: “A Maronna t’accumpagni”.