Sul campo, in Ucraina, nessuna novità di rilievo: Kiev ripete l’annuncio di una prossima controffensiva per recuperare Donbass e Crimea; i russi – non solo la milizia Wagner di Evgheny Progozhin ma anche le truppe regolari – completano ormai l’occupazione di Bakhmut ridotta a una Dresda sviscerata e spettrale. Rilevanti, invece, le novità di strategia globale: a Pechino le visite dei presidenti francese Emmanuel Macron e brasiliano Luiz Inácio Lula hanno segnato l’emergere in superficie di visioni divergenti nello schieramento euro-atlantico e il rafforzamento del fronte dei Paesi che puntano a un sistema realmente multipolare dell’equilibrio internazionale e alla de-dollarizzazione del commercio internazionale.
La sfida sull’Indo-Pacifico – e non solo, perch’è globale – tra l’Occidente e il Celeste Impero s’è trasformata in un confronto che vede, da un lato, Stati Uniti e gli alleati vecchi e nuovi più fidati in Europa e Asia, e, dall’altro, Cina più Russia più nuovi alleati che a piccoli passi s’accomunano. Joe Biden ha ripreso e sviluppato il progetto delle precedenti amministrazioni Dem di accerchiamento della Federazione russa attraverso la NATO, ma scaraventare Mosca nelle braccia di Pechino significa sia camminare sul filo del rasoio nucleare, sia fare il miglior regalo a Pechino. Dopo aver sbrigativamente rispedito Ursula von der Leyen a Bruxelles, Xi Jinping ha accolto con tutti gli onori Lula, il rinnovato presidente del Brasile che ora s’affianca a Cina, Russia e Sudafrica: manca solo l’India al poker dei cinque Paesi ‘emergenti’ BRICS. Per Lula – sull’Ucraina critico della prim’ora di Volodymyr Zelensky e di Biden – gli stessi onori riservati a Macron e negati alla presidentessa della Commissione europea, a segnare la differenza tra chi conta, agli occhi di Xi, e chi no.
Il presidente del Brasile è stato, come il capo dell’Eliseo, coerente. Lula – sull’Ucraina critico della prim’ora di Volodymyr Zelensky e di Biden – ha sollecitato il presidente americano a non boicottare il negoziato e il presidente polacco a puntare sulla pace. Macron, da parte sua, ha avuto il merito del coraggio nell’affermare che l’essere consapevoli della necessità – ancor oggi – dell’alleanza con l’America per la sicurezza europea non debba trasformarsi in un “vassallaggio”, cioè comportare un’obbedienza cieca e la costrizione a condividere errori che danneggiano lo stesso Occidente, segnatamente il Vecchio Continente. Il presidente francese non è arrivato a puntare il dito apertamente sui rischi che comporta il rilancio di Biden delle politiche delle amministrazioni che hanno preceduto il quadriennio di Trump. Parigi ha fatto la sua parte di alleato NATO e sostiene l’Ucraina. Macron, tuttavia, ha tenuto a marcare sia i limiti degli interessi comuni tra Europa e America, sia i rischi contenuti nei progetti di Biden di spostare da Parigi e Berlino a Varsavia e Londra l’asse del pilastro europeo della NATO.
Sul ruolo dell’Europa si confrontano due visioni. A distanza di poche ore uno dall’altro il presidente francese e il premier polacco Mateusz Morawiecki si sono riflessi nello specchio di un Vecchio Continente ‘double face’. Morawiecki, a Washington, offriva un ricco elenco di armi da acquistare assieme alla promessa di divenire il pretoriano di un’Europa ancor più succube dell’America e ostile alla Russia. Riecheggiava, Morawiecki, quasi la sicumera che in epoche neppure troppo lontane son costate sangue e periodi di schiavitù alla Polonia. E a volte all’Europa e al mondo. Macron, a Pechino, mostrava quanto vivo fosse ancora il sogno nato dalla “Framania” : il progetto di un nucleo europeo (democratico e in prospettiva alleato ‘paritario’ nella NATO) fondato su Francia e Germania, presentato a Charles De Gaulle da un Konrad Adenauer con le rovine ancora fumanti del suo Paese (altri tempi, altri leader!). Macron ha voluto sottolineare la necessità, ormai, per l’Europa di divenire la terza superpotenza planetaria, economica e militare, ma con un ruolo di mediazione e di stabilità in un mondo dall’equilibrio vieppiù multipolare, per l’emergere di nuove superpotenze regionali. La Francia – che, dopo la Brexit, è l’unico Paese dell’UE dotato di una forza nucleare di produzione propria e di un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’ONU – è pronta a fare la propria parte.
(SE LUNGO PUOI TAGLIARE DA QUI ALLA FINE)
Vale, inoltre, la pena ricordare come Washington abbia soffiato a Parigi l’affare (31 miliardi di euro, nel settembre del 2021 non ancora svalutati) della fornitura di sottomarini all’Australia. Un grosso sgarbo da collegare con l’esclusione della Francia – che ha isole e basi nel Pacifico – dall’AUKUS (patto di sicurezza in funzione anticinese tra Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda) che nell’autunno del 2021 ha ‘aggiornato’ l’ANZUS del 1951. E Parigi era stata tenuta nel 2017 a distanza dal QUAD (Quadrilateral Security Dialogue, una intesa tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India, volta al contenimento dell’espansione cinese nell’Indo-Pacifico, con l’accaparramento di mercati e di isole da trasformare in basi militari). Ecco allora l’Eliseo prendere le distanze da Washington su Taiwan: un “contenzioso lontano dall’Europa”. Ma c’è dell’altro La Francia è, subito dopo la Germania, il Paese UE con la migliore apertura sul mercato cinese. Le critiche di Macron al “vassallaggio” europeo riflettono pure il disappunto verso un alleato che non s’è fatto scrupolo nell’innalzare muri a protezione della propria reindustrializzazione, mentre Pechino continua ad aprire le porte ai prodotti francesi (centinaia di aerei, merce tecnologicamente avanzata, alta moda, alimentari) ed europei nonostante le chiusure di Bruxelles all’invadenza mercantile cinese.
Almerico Di Meglio (Napoli, 1948), giornalista professionista dal 1981, già inviato speciale all’estero e notista di politica italiana. Vive tra Napoli, l’isola di ischia e Parigi. Ha fatto parte dal 1979 al 2009 della redazione de “Il Mattino”. Caposervizio e inviato della Redazione Esteri ha scritto da molti Paesi: dall’Europa dell’Est e dell’Ovest, divise dalla Cortina di ferro, agli Stati Uniti e al Canada, dall’America Latina all’Africa Australe e del Nord, dall’Asia centrale e segnatamente dall’ex Unione Sovietica. Successivamente ha lavorato alla Redazione Politica. E’ esperto di relazioni Est-Ovest, di questioni geopolitiche e geostrategiche. Ha pubblicato “Tra le rovine dell’impero sovietico (Università Popolare di Torino editore, 2015).