Tutti gli occhi rivolti alla parata militare di Mosca per l’anniversario della vittoria del 1945, preceduta dall’attentato ucraino allo scrittore nazionalista russo Zakhar Prilepin e dal decreto del presidente Volodymyr Zelensky che consacra il 9 maggio come il giorno nel quale debba essere ogni anno celebrata “l’unità di tutti gli europei che hanno distrutto il nazismo e che sconfiggeranno il fascismo russo”. Ma negli Stati Uniti riaffiorano sui media – immancabili la ‘Washington post” e il ‘Wall street journal’ – le divisioni nell’amministrazione circa la reale efficacia della controffensiva ucraina, che fin da oggi potrebbe scattare.
Ma su entrambe le sponde dell’Atlantico s’accomunano le attenzioni verso la missione diplomatica di Pechino, che raccoglie le uniche speranze per l’apertura d’uno spiraglio di negoziato tra Mosca e i tutori anglo-americani e polacchi di Kiev. Coincidenza, chissà se casuale, la necessità ribadita da Henry Kissinger di una rapida soluzione negoziale del conflitto che eviti svolte apocalittiche, tenendo conto delle ragioni di Kiev ma soppesando anche quelle di Mosca, relative alla sicurezza di fronte al progressivo allargamento della NATO. Significativa la disponibilità manifestata da Kissinger a impegnarsi nelle trattative: il 27 maggio compirà cento anni ma conserva una lucidità che molti altri diplomatici ed esperti di strategia globale mostrano d’aver smarrito e gode di (antico) apprezzamento a Pechino e di rispetto nella stessa Mosca per l’equilibrio mostrato nelle sue analisi.
Difficile prevedere quanto possano influire le preoccupazioni di Kissinger su Joe Biden e i suoi collaboratori ‘neocon’. Né la durissima denuncia di Robert F. Kennedy junior. La sua discesa in campo nelle primarie del partito democratico ha ricevuto solo poche righe sui giornali e appena qualche accenno su social e tv europee, ma in patria ha avuto una eco maggiore. Non influirà sulla riconferma della candidatura del presidente uscente e probabilmente neppure sulle elezioni presidenziali, tuttavia al momento – secondo alcuni sondaggi – avrebbe fatto presa su un 20% degli elettori Dem.
Kennedy ha sottolineato il tradimento degli Accordi di Minsk e denunciato Biden di sacrificare la gioventù ucraina per soddisfare le ambizioni geopolitiche dei ‘neocon’. “Non voglio scusare o giustificare Vladimir Putin per la barbara e illegale invasione dell’Ucraina…(ma) bisogna essere onesti (e ammettere che) c’è contro la Russia una guerra americana, che sacrifica essenzialmente il fiore della gioventù ucraina in un mattatoio di morte e distruzione per le ambizioni geopolitiche dei neocon, per provocare la caduta di Putin e sfiancare militarmente la Russia…(sono stati finora) uccisi o feriti 300mila combattenti ucraini, l’élite migliore delle forze combattenti europee”. Kennedy ha anche riconosciuto la sanguinosa repressione operata dal governo di Kiev nel Donbass russofono, con 14mila morti, indicando come l’autonomia promessa e non rispettata dovrebbe essere – dopo una soluzione negoziata del conflitto – garantita da una forza delle Nazioni Unite, e le preoccupazioni della Russia rispettate con il ritiro dei missili nucleari occidentali a 70 miglia dai confini russi: ha ricordato che quando l’Urss tentò di installarli a Cuba, cioè a 90 miglia dalle coste statunitensi, Washington minacciò di invaderla e l’accordo fu raggiunto da suo zio John F. Kennedy e Nikita Krusciov “ritirando i missili (americani) Jupiter dalla Turchia”.
E’ lungo l’elenco di accuse rivolto a Biden per il conflitto in Ucraina. Proprio ieri Sergio Romano ricordava sul ‘Corriere della sera’ come all’indomani del crollo dell’Urss “molti pensarono che sarebbe stato possibile creare utili rapporti (non solo economici ma anche politici e culturali) fra le democrazie occidentali e Mosca”… E nel 1997 ci fu l’approvazione – da parte dei paesi dell’Alleanza Atlantica e Mosca – di un “atto fondatore” col quale “Nato e Russia non si considerano nemiche” e “intendono sviluppare una collaborazione forte, stabile e duratura” per “ contribuire a instaurare in Europa una sicurezza comune e globale” basata su pace, pluralismo, diritti umani, prevenzione dei conflitti, negoziati. Due anni dopo, però, la Nato bombardava la Serbia in una delle sue “missioni di pace”. Nonostante questo, a Pratica di mare – esattamente 21 anni fa – l’apice della collaborazione tra ex nemici…Poi, invece, sfruttando l’odio accumulato nell’Europa orientale verso l’Urss comunista, la progressiva espansione a est dell’Alleanza Atlantica. Proprio quando veniva a mancare la ragione stessa della sua persistenza, dal momento che non esisteva più l’Unione Sovietica. Se doveva sopravvivere, la Nato doveva farlo associando – com’era nei propositi, cioè nelle promesse – la stessa Federazione russa.
Ieri ancora una giornata di bombardamenti anche al fosforo, di combattimenti, di sangue nel Donbass, in Crimea e con droni oltre il confine russo. Se Evgheni Prigozhin e la sua compagnia Wagner hanno ripreso la battaglia di trincea a Bakhmut, dove non si fanno troppi prigionieri, nel resto dell’Ucraina si allunga la lista dei presunti collaborazionisti e spie e dei sospetti traditori che affollano le carceri, soprattutto dopo la scoperta… della sconvolgente corruzione ai vertici e nell’apparato statale. Aumenta anche il numero degli esponenti russofoni eliminati come, in Russia, degli intellettuali vicini al Cremlino: a dimostrarlo è stata l’autobomba contro Zakhar Prilepin (dove a rimetterci la pelle è stato l’autista), che segue quelle contro Vladlen Tatarsky (andata a segno) e Aleksandr Dugin (dove a morire è stata la figlia Darya). Gli attentati dinamitardi, gli agguati e i droni-bomba testimoniano l’audacia dei combattenti ucraini, le capacità dell’Intelligence tradizionale ucraina e tecnologica occidentale (segnatamente americana), le condizioni non certo ottimali delle forze armate russe.
Altro che pericolo di una rinata Armata rossa. Un’Armata rotta, piuttosto, che rinnovava la propria potenza solo nella missilistica nucleare. Droni fermati dalla contraerea addirittura sul pennone del Cremlino; una girandola di generali licenziati, ripresi, sostituiti, recuperati; operazioni ucraino-occidentali segrete che colpiscono addirittura gasdotti sottomarini e, all’interno della Federazione, ponti lunghi decine di chilometri, arsenali, depositi di combustibile, centri di comando, caserme e alti gradi militari. E persino un Prigozhin che abbaiava di abbandonare il campo di battaglia di Bakhmut per tre quarti conquistata al prezzo di migliaia di perdite perché… “senza munizioni”! La Wagner, una compagnia di ventura (formata da ex militari delle forze speciali, mercenari e volontari), impantanata in mesi di combattimenti per la conquista di una cittadina eppure spacciata per un fantomatico esercito che presidierebbe addirittura mezza Africa, spazi continentali, e ch’è invece impegnata in ben determinati e circoscritti teatri operativi.
Nella partita dell’Indo-Pacifico con la Cina, valeva la pena consolidare la Nato offrendole la Russia? L’accordo raggiunto tra Iran e Arabia Saudita grazie alla Cina testimonia quanto conti, sul piano internazionale, l’intesa tra Pechino e Mosca. La riammissione della Siria nella Lega Araba, grazie alle garanzie offerte da Mosca e Pechino, lo confermano. La forza della Russia è stata sempre la pazienza. Dobbiamo augurarci che qualcuno lo ricordi a Biden.
Almerico Di Meglio (Napoli, 1948), giornalista professionista dal 1981, già inviato speciale all’estero e notista di politica italiana. Vive tra Napoli, l’isola di ischia e Parigi. Ha fatto parte dal 1979 al 2009 della redazione de “Il Mattino”. Caposervizio e inviato della Redazione Esteri ha scritto da molti Paesi: dall’Europa dell’Est e dell’Ovest, divise dalla Cortina di ferro, agli Stati Uniti e al Canada, dall’America Latina all’Africa Australe e del Nord, dall’Asia centrale e segnatamente dall’ex Unione Sovietica. Successivamente ha lavorato alla Redazione Politica. E’ esperto di relazioni Est-Ovest, di questioni geopolitiche e geostrategiche. Ha pubblicato “Tra le rovine dell’impero sovietico (Università Popolare di Torino editore, 2015).