Nello sbattimento permanente legato alle nefaste vicissitudini della squadra per cui facciamo il tifo e di cui, immeritatamente, scriviamo su queste pagine, capita di doversi ricordare che la vita necessita di faccende più impegnative e meno piacevoli del già poco piacevole coinvolgimento emotivo calcistico. Accade dunque che si debba procedere un po’ a singhiozzo nello sparare nell’aere le nostre trascurabili elucubrazioni sul Calcio Napoli. Per non dire che seppure il tempo di occuparsi di frivolezze fosse ai massimi livelli (vale a dire: seppure nun tenessemo ‘nu cazzo a che pensà), la nostra squadra ce facesse passà ‘o genio. Quindi il danno di aver mancato l’appuntamento un paio di volte non dovrebbe essere molto consistente. Come noto ai (incredibilmente tutt’altro che pochi) lettori, questa rubrica si chiama “Dammi Tre Parole”. Col passare dei mesi, la sensazione che le parole da utilizzare come descrizione della giornata calcistica, è stata sempre quella che ci si dovesse in qualche modo ripetere. Ed è arrivato un momento in cui le parole sono davvero praticamente finite. In questo momento, seriamente, quando penso al Napoli, mi vengono in mente solo insulti e imprecazioni. Di questa stagione non si salva nulla e quasi nessuno (uso il “quasi” perché sarebbe ingeneroso non farlo pensando a Politano che ha dato l’anima e a Lobotka di cui ricordo molti errori ma nessuna partita in cui non abbia sputato i polmoni. Onore al loro merito soprattutto se paragonato ai demeriti dei compagni, defunti sotto il macigno della Gloria).
EMBLEMA: è quello che è il pareggio con una Roma oggettivamente scadente da diversi anni e giusto un po’ risollevata dall’avvento dell’ottimo De Rossi (come capo carismatico più che come allenatore). La Roma ha una squadra fatta da un fuoriclasse di cristallo (Dybala) e un centrocampista che potrebbe giocare dovunque con risultati eccelsi ma preferisce essere bandiera piuttosto che vincente (Pellegrini). Dopo di loro qualche buon calciatore (il sempre poco utilizzato El Sharaawy e l’incostante Spinazzola), un centravanti tra i tre più costosi del campionato e tra i tre meno incisivi (ce l’ho al fantacalcio e gli tiro almeno una bestemmia alla settimana), dei buoni picchiatori (Cristante, Kristensen e Mancini), qualche giovane di belle speranze ma niente di più (Bove, Ndicka). Insomma ‘na discreta zuppa ‘e fasule. Posto che 0 su 6 con l’Empoli va derubricato ad incidente a prescindere dalle bestemmie iperboliche che ci hanno tirato dall’anima quelle due partite, 1 su 6 con una squadra come la Roma di quest’anno, peraltro devastata per due terzi del campionato dal diversamene tecnico Special One, rende perfettamente l’idea di cosa si sia stati capaci di non fare quest’anno. Si sarebbe potuto capire ed accettare un risultato del genere con l’Atalanta, col Bologna, perfino con la Lazio che ha dato quest’anno il peggio di sé quasi come noi pur avendo una squadra discreta, ma la Roma è squadra a cui l’undici campione d’Italia avrebbe dovuto lasciare le briciole ed invece le briciole sono toccate a noi. Nulla può spiegare meglio di quel punto su sei il fallimento di questa stagione.
SPERPERO: ciò che è particolarmente amaro di tutto ciò è che si è assistito all’erosione progressiva dell’amore che si presumeva incrollabile nei confronti di una serie di uomini che sarebbero dovuti rimanere immortali. In realtà torneranno ad esserlo quando questa stagione sarà terminata, quando col tempo che passerà ci si dimenticherà di un’annata disgraziata che (poco) casualmente è venuta immediatamente dopo quella del trionfo. Tra dieci anni penseremo a Di Lorenzo, Lobotka, Kvaratskhelia, Anguissa e perfino a Osimhen come a degli eroi, come a coloro che ci hanno regalato un anno intero di gioia. Nel tempo rimarrà il trionfo mentre la delusione di quest’anno verrà cancellata. Ragione per cui, questa delusione, teniamocela stretta. Perché i calciatori, gli allenatori, i dirigenti e il presidente devono sentire tutto il peso del fardello che noi tifosi abbiamo dovuto sopportare quest’anno. Pare una esagerazione e forse lo è, ma per molti di noi il Napoli rappresenta una delle poche cose che alleggeriscono una vita di lavoro, sacrifici, problemi e cazzi più o meno roccosiffredici che ci danzano la tarantella nel sedere. Per quelli che vivono quotidianamente questo standard di vita, il Napoli è il sigillo di ceralacca su dodici mesi di merda.
INSPIEGABILE: trovare una spiegazione al tracollo è diventata impresa improba. D’altronde le centinaia di cronisti, analisti ed esperti di forgia varia che si avvicendano nelle decine di trasmissioni televisive e testate online, le hanno ipotizzate tutte in lungo e in largo. La più papabile delle risposte è quella della più volte citata crisi di appagamento, che ha divorato le capacità di concentrazione di tutti i calciatori dopo la vittoria del campionato scorso. La perdita di Kim e la scarsa abilità di mettere i puntelli ad una difesa, sicuramente indebolita, ma non debole in assoluto, che tutti i tre allenatori che si sono avvicendati hanno dimostrato, ha fatto per buona parte il resto. Si prende una quantità di gol con una facilità che non si ricordava dai tempi di Britos e forse nemmeno allora. Tutto è diventato cervellotico, macchinoso e poco fluido. Il possesso palla ed il numero di tiri in porta più alti del campionato non possono farti piazzare tra l’ottavo e il decimo posto a fine campionato. E’ questo che è inspiegabile. Il fatto che con tutti i difetti, le minchiate, l’orripilanza del gioco, la staticità e tutta una infinita serie di brutture, questa squadra sia riuscita ad arrivare al tiro più di tutte le altre e a tenere in mano il pallino del gioco contro tutti, forti e scarsi. L’unica cosa che trasforma l’inspiegabile in spiegabile è quello che sembra essere il catalizzatore perfetto: la sfiga. Aggrappiamoci a quella perché abbiamo bisogno di una scusa per non prenderli tutti con la mazza.