Continua la nostra collaborazione con il geologo Bruno De Simone per concludere il capitolo sui laghi dei Campi Flegrei. Stavolta le nostre attenzioni sono rivolte sullo studio del lago Lucrino e a seguire del lago d’Averno. Il lago di Lucrino è un lago di barra marina, analogo, sotto il profilo geografico, al lago Fusaro. Nel corso dei tempi ha cambiato diverse configurazioni, fino a raggiungere l’attuale morfologia. In epoca romana il lago era separato dal mare da una sottile duna sabbiosa sulla quale correva la via Herculea, inoltre, era anche sede di un fiorente e redditizio allevamento di ostriche. Il nome Lucrino è infatti legato a lucrum (in latino guadagno). Titolare di questa attività era l’ingegnere e imprenditore Sergio Orata, il cui nome è legato anche a due innovazioni: le suspensurae (pavimenti su volta) e l’ipocausto (sistema di riscaldamento che utilizzava la circolazione di aria calda all’interno di intercapedini poste sotto il pavimento o lungo le pareti). Questo lago non ha mai presentato una morfologia stabile per diverse cause che vedremo in seguito. Nel corso del I secolo a.C, a causa del bradisisma discendente, il mare invase lo specchio d’acqua, danneggiando gli impianti di ostriche. Per ordine di G. Cesare la via Herculea venne sopraelevata. Nel 37 a.C. fu ideato il progetto “Portus Julius”: aprire l’accesso delle navi da guerra a Lucrino e collegare questo al non lontano lago d’Averno. Per di più a quei tempi occorreva realizzare un porto sicuro per la flotta, e tale incarico, fu affidato a Marco Vipsanio Agrippa. Fu così realizzato un canale tra il mare e Lucrino, che rappresentava il porto esterno. Successivamente, scavando per 1 km circa, fu raggiunto il lago d’Averno, che rappresentò il porto interno. In seguito, a causa del lento abbassamento della linea di costa (bradisisma discendente), il mare sommerse interamente il lago, il porto romano, e la via Herculea (quota tra -3,5e – 4 m sotto il livello medio del mare). Siamo nel 12 a.C. e questa mitica via la si intravede in seguito alle mareggiate: quando le onde si infrangono. Le strutture del porto vennero riscoperte nel 1956, attraverso le foto aeree del pilota militare Raimondo Bucher. Nel X secolo il lago comunicava col mare trovandosi la piana della Starza a quota -6 m sul livello marino medio. Nel XVII secolo, a causa del sollevamento del suolo, si trasforma in palude. La vicenda si ripete nel 1750, ma prima, nel 1538, l’eruzione del Monte Nuovo (l’ultimo nato dei vulcani flegrei) ridusse notevolmente la superficie del lago. Si distrussero gli antichi complessi termali, i resti del Cumanum di Cicerone, la villa nella quale l’oratore si era ripromesso di far rivivere la scuola aristotelica e quelle di Silla e Varrone. Marcantonio Falconi nel suo ‘Dell‘incendio di Pozzuolo‘, edito nel 1538, documenta quanto c’era prima dell’eruzione. Il materiale eruttato colmò il canale che collegava Lucrino e Averno. Ora rivolgiamo il nostro sguardo sul lago d’Averno. Il lago d’Averno per dimensioni è solo secondo al lago Fusaro (0,55 kmq) ed occupa il cratere di un vulcano formatosi 5.200 anni fa, e che si edificò sul precedente cratere dell’Archiaverno di 12.700 anni. Il lago ha una forma ellittica, una profondità massima di 35 m ed il suo nome deriva dal greco: aornon, che significa senza uccelli (per via di esalazioni sulfuree). Presso le sue rive, secondo la mitologia, era ubicata la porta degli inferi (Virgilio e poi Dante Alighieri). Plutone rapì in Sicilia l’incantevole Proserpina e, attraverso il lago, la condusse nell’Ade per diventarne la regina. Con l’eruzione di M. Nuovo il lago, che era collegato con Lucrino, rimane isolato. Risulta essere alquanto suggestivo passeggiare vicino al lago, si ha come l’impressione di rivivere la sua mitica storia. Lungo il cammino si incontra il cosiddetto tempio di Apollo: un grandioso complesso termale voluto dall’imperatore Adriano. All’epoca il tempio aveva una volta a cupola, paragonabile a quella del Pantheon di Roma, ma attualmente sono sopravvissute solo quattro colonne e un arco. Molto interessante è la Grotta della Sibilla (purtroppo risulta non accessibile), da non confondere con l’antro della Sibilla cumana nel Parco archeologico di Cuma.