La curiosità. Il mazzo da gioco, celebrato anche in diversi film, contiene riferimenti a personaggi popolari

Le carte napoletane
Il “Gatto mammone”

Sono piacentine, romagnole, siciliane, sarde, abruzzesi ma soprattutto napoletane. Di cosa parliamo? Delle carte da gioco ed in particolare dei “mazzi” di derivazione spagnola. Le carte da gioco italiane consistono normalmente di mazzi da 40 carte divisi in 4 diversi semi, ma differiscono dal punto di vista stilistico del disegno in base alla provenienza geografica, sono dette infatti carte regionali. Noi ci soffermeremo sulle napoletane che nascondono alcuni simpatici aneddoti e, anche se tante volte ve le sarete trovate tra le mani durante una partita a carte, siamo sicuri che dopo la lettura di questo articolo le andrete a spulciare per averne conferma. Prima però facciamo una panoramica su come e quando nasce il gioco delle carte e su alcune caratteristiche che più o meno sono comuni a tutti i “mazzi”. La sua nascita dovrebbe risalire in Cina nel IX secolo durante gli anni della dinastia Tang poco dopo l’invenzione della carta avvenuta sempre lì. Sono tante le ipotesi che girano intorno all’arrivo di esse nel nostro Paese. Una delle più attendibili narra che a portarle siano stati gli Spagnoli dopo aver appreso il gioco dagli Arabi. Le “figure” che sono rappresentate nei mazzi rimandano la loro derivazione al gioco degli scacchi. Ci sono infatti re, cavalieri, fanti/pedoni e un gruppo di carte numerali.

Alcune correnti di pensiero vorrebbero che i semi delle carte italiane provengano dai tarocchi e rappresentino le classi in cui era organizzata la società dell’epoca ovvero Coppe per il clero, Denari per i mercanti, Spade per i nobili e Bastoni per i contadini. Altri ancora vedono un riferimento alle quattro stagioni, e un’altra teoria vede l’origine dei semi delle carte risalenti agli elementi della Terra, Aria, Fuoco ed Acqua che, mescolandosi, danno origine all’intero universo. Insomma non manca la scelta! Un punto fermo però c’è e riguarda l’origine dei semi delle carte risalente al Medio Oriente. Questi semi sono la base e da questi si sviluppano tutti gli altri semi come ad esempio quelli delle carte francesi in cui le Coppe si trasformano in Cuori, i Denari in Quadri, i Bastoni in Fiori (trifogli) e le Spade in Picche. Ritornando alle carte napoletane, nelle raffigurazioni si possono cogliere alcuni riferimenti a personaggi dell’epoca, in alcune versioni infatti il re di spade somiglia a re Ferdinando, qualcuno vedrebbe in uno dei cavalieri Garibaldi. I semi degli ori, o danari, sono raffigurati come stelle, l’asso come un’aquila a due teste ed il cinque sembra raffigurare il Sole al centro con 4 stelle ai suoi lati; dei denari a Napoli le carte più apprezzate sono il re o “Matta” che nel sette e mezzo può assumere qualsiasi valore gli si voglia dare e il sette detto “Sette Bello” che nel gioco della scopa fa un punto a sé.

Rimanendo sul cinque, ma cambiando il seme in quello di spade, si possono notare ritratte tre figure di cui un contadino intento nella semina, un suonatore, forse lì per un rito propiziatorio e un animale. Le “donne” fanti o otto hanno tutte un copricapo e calzoncini corti, quella di spade è l’unica ad avere le gambe senza calze. Un discorso a parte va fatto per tre di bastoni denominato “Gatto mammone” in cui è raffigurato il volto di un mostro con grossi baffi che ride in modo beffardo. Fra le interpretazioni che sono state date quella più riconosciuta, almeno dal popolo napoletano, vede legato questo personaggio alla guardia cittadina che il mellifluo Liborio Romano istituì dopo aver venduto Napoli a Garibaldi. Ogni squadra era composta di tre guardie dette “capintesta” con grossi baffi, in testa un cappello con una coccarda tricolore, e ognuna armata con un bastone. Tra questi si distinse Nicola Ajossa, un guappo senza scrupoli. Alla sua morte, per il timore che aveva impresso nel popolo napoletano, già demotivato e deluso per questo scippo, lo vollero ricordare nella sua crudeltà dipingendolo artigianalmente sulle carte da gioco.

Anche in questa arte e nella sua salvaguardia c’è lo zampino di un napoletano! Si tratta di Chitarrella, un sacerdote o monaco domenicano che nel 1750, non si trovano fonti certe sulla data e sulla sua biografia, scrisse in latino le prime regole del gioco delle carte denominato “Codice di Chitarrella”. In particolare si tratta di due raccolte di regole: una per il Tressette, l’altra, un’aggiunta scritta in napoletano “jonta”, descrive lo Scopone nel “De regulis scoponis”. Qualche curiosità: le carte da gioco sono rettangolari ma in India ne esistono anche di forma rotonda; diversi sono i film in cui è protagonista una partita a carte. Ci piace segnalare uno dei capolavori di Luigi Comencini Lo Scopone scientifico e le divertenti partite disputate nell’episodio I giocatori del film L’oro di Napoli diretto da Vittorio De Sica in cui il conte Prospero, nobile interdetto dalla moglie per il vizio del gioco, viene sistematicamente battuto a Scopa da Gennarino, il figlio di otto anni del portiere. Stizzito ogni volta che perde una partita lo insulta per poi chiedergli ancora una rivincita.

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