Febbre calcistica a Napoli, città compatta attorno alla squadra che ne porta il nome e alla passione per una disciplina oltre la quale non cresce l’erba. Una passione che nasce nel primo Novecento, quando il calcio diventa aspetto elitario delle aree in corso di modernizzazione e poi fenomeno di massa. Prima di allora, qualche passione a carattere ludico-sportivo pure c’era, perché i napoletani, almeno fino alla diffusione del biliardo, prediligevano la pallamaglio, una disciplina sportiva individuale e a squadre in cui con un bastone di legno a martelletto, detto “clava lusoria”, si doveva lanciare una palla di legno, nel minor numero di tiri possibili, in direzione di un buco o verso una meta ad archetto piantata a terra. Si tratta di un antico sport originario proprio del Regno di Napoli e giocato nella città partenopea e dintorni almeno dal secolo XII. Certamente diffuso nel Napoletano già in pieno Quattrocento, epoca in cui un giocatore, durante una partita a Sant’Anastasia, nei pressi di un arco dell’acquedotto romano che fiancheggiava la strada da Napoli a Somma Vesuviana, fece finire la palla contro un albero di tiglio e perse la partita. Furioso per la sconfitta, iniziò a bestemmiare e, non contento, a colpire con la sfera di legno un’immagine votiva della Vergine dipinta su un muro, centrando la guancia sinistra. Si racconta che la Madonna cominciò a sanguinare, e allora il giocatore di pallamaglio fu inseguito dalla folla per essere linciato, ma poi salvato momentaneamente dal conte di Sarno, e da questi fatto impiccare all’albero una volta costatato il miracolo. Quel miracolo, avvenuto nel giorno di Pasquetta, diede origine alla tradizione dei “fujenti”, i battenti vestiti di bianco con una fascia trasversale azzurra,che camminano a piedi nudi o in ginocchio durante la processione verso l’edicola votiva della Madonna dell’Arco, una delle devozioni mariane più sentite nel Regno di Napoli e oltre. Nel Cinquecento accennò all’origine partenopea del gioco della pallamaglio il poeta fiorentino Anton Francesco Grazzini nel Canto di giocatori di palla al maglio. Lo ribadì poco dopo la metà del secolo anche il forlivese Girolamo Mercuriale, il primo medico a teorizzare la pratica della ginnastica, che sottolineò come quel gioco nato molti anni prima nel Regno di Napoli si fosse ormai diffuso per quasi tutta l’Europa. Giordano Bruno, prima di bruciare al rogo dell’Inquisizione romana, scrisse la commedia Il Candelaio in cui citò la pallamaglio tra i giochi popolari napoletani. L’orientalista romano Pietro della Valle, nel Seicento, descrivendo un suo soggiorno in Persia, scrisse che lì era il re a insegnare la disciplina di origine napoletana, facendo riferimento alla pallamaglio a cavallo, una sorta di moderno polo. Certo è che la prima partita di polo registrata nella storia fu giocata proprio in quegli anni in Persia fra locali e turkmeni. Era verosimilmente la pallamaglio il diletto dal quale nacque il nome di tre strade di Napoli dette ‘del Pallonetto’, cioè della piccola palla, a Santa Chiara, Santa Lucia e San Liborio. Il gioco era praticato in alcuni spazi larghi all’aperto, non solo a Napoli ma in tutta Italia, dove si diffuse nel periodo rinascimentale, e poi in Francia, dove fu detto “Palle Malle”e ispirò il biliardo. In Inghilterra fu tradotto in PallMall e a Londra prese casa in una strada frequentata da nobili signori, amanti del tabacco. Chi ha il vizio del fumo conosce bene le sigarette con questo nome, prodotte dalla British American Tobacco di Londra. Così come dal calcio fiorentino gli inglesi avrebbero tratto il football, dal gioco napoletano avrebbero fatto nascere il croquet e il golf.
La pallamaglio: lo sport amato a Napoli
quando il calcio non c’era