I Campi Flegrei un tempo non esistevano. Questa terra, creata dall’attività costruttiva dei vulcani, è ricca di bellezze naturali e di un patrimonio archeologo e artistico inestimabile. Una terra dove si insediarono prima i greci e poi i romani. L’isola di Nisida, per fare un esempio, è un vulcano che man mano è emerso dal fondale marino. Milioni d’anni fa tutta la piana campana, delimitata dai monti Massico e Maggiore a Nord, dai monti di Caserta a nord est, dai monti di Sarno ad est, dalla piana del Sele e dai monti Lattari a sud, era sotto il livello del mare a causa di un sistema di profonde fratture. Con il trascorrere del tempo tutta quest’area è stata interessata dal vulcanismo nell’area flegrea, che ha costruito vulcani prima sommersi e poi venuti alla luce, (così come è avvenuto per Nisida), in aggiunta ai trasporti alluvionali provenienti dai rilievi appenninici. In tal modo è venuta a formarsi la piana campana. Esaminando una carta geologico-strutturale dei Campi Flegrei noteremo che i tanti vulcani sono rappresentati con il nome e un quadratino colorato. Ogni colore indica l’età, stimata utilizzando metodi geocronologici. La storia eruttiva del campo vulcanico flegreo è legata a due eventi che hanno portato nel tempo all’attuale morfologia. 39.000 anni fa un supervulcano, il cui cratere misurava 16 km, esplose generando una colonna eruttiva che diffuse flussi di prodotti piroclastici ad elevata mobilità. Furono prodotti 150 kmc di materiale che i venti dominanti trasportarono ad Est verso i Balcani e le cui ceneri sottili raggiunsero la pianura russa. Dal centro eruttivo i prodotti piroclastici si diffusero anche nell’area flegrea, come è possibile riscontrare nel tratto di costa da M. Grillo a Torregaveta (Monte di Procida) e a Procida (Punta della Lingua, località Scotto di Carlo e Pozzo vecchio in località Cimitero e Camaldoli-Soccavo). Gli affioramenti sono limitati in quanto ricoperti da eruzioni successive. La pioggia di fuoco raggiunse l’Appennino superando anche i 1000 metri di quota, e verso sud, sorvolando il mare, ricadde sul tratto di costa tra Meta e Sorrento, costruendo una terrazza dal colore grigio che si distingue nettamente dai calcari biancastri. Dopo questa violenta e catastrofica eruzione, il supervulcano si svuotò, tutto l’edificio sprofondò, e il mare riprese il suo dominio. L’attività eruttiva continuò incessantemente fino a quando non emerse un secondo supervulcano il cui cratere aveva un diametro di 15 km. Tale vulcano, 15.000 anni fa, eruttò il tufo giallo napoletano: quella roccia leggera, ma dalle ottime caratteristiche meccaniche, che è legata non solo alla storia antica di Napoli ma anche all’edilizia urbana. Il tufo ricoprì un’area di 1000 km. Dopo l’eruzione, di tipo stromboliano-pliniano, si formò una caldera. I bordi del vulcano sono rappresentati dalle dorsali dei Camaldoli e di Posillipo, Monti Licola-S. Severino, Cuma, Monte di Procida e M. Gauro. Dopo un periodo di quiete, di circa 2000 anni, l’attività eruttiva riprese con la formazione di circa 40 vulcani, in un arco temporale che va da 13.000 anni fa, all’eruzione di Monte Nuovo del 1538. Meno recenti sono le eruzioni che riguardano: La Pigna, Archiaverno e Soccavo con le sue pomici dette principali e Pisani. Seguono poi nell’ordine: Fondi di Baia, Sartania, S.Martino (isolotto) e Bacoli. Dopo un intervallo, relativamente breve, si formarono numerosi altri vulcani dei quali ricordiamo: Porto Miseno, Agnano, Averno, Capo Miseno (dove sotto il Faro è visibile il condotto craterico), Astroni, Solfatara, Fossa Lupara e il minivulcano gioiello di Nisida. Per chi ama le bellezze naturali e il proprio territorio è possibile percorrere tanti e suggestivi itinerari.