Home Cultura e Arte Kalìka: “Rinasciamo anche quando non ce ne accorgiamo”

Kalìka: “Rinasciamo anche quando non ce ne accorgiamo”

Kalìka
Kalìka è il progetto musicale al femminile partenopeo composto da Vania di Matteo (voce), Anna Rita Di Pace (voce e violino) e Giulia Olivieri (voce). Il suo significato è “bocciolo”, dopo il primo incontro e la primavera a simboleggiare la nascita, il trio ha pubblicato i due singoli Fatmah (cover degli Almamegretta) e Ero Sulo Ajere.  Il disco d’esordio “Ago, filo e parole” è il frutto di un lavoro sentito, distintivo e voluto. Al  centro la figura di una moderna Penelope, che tra travagli, attese e incognite inizia rifiorire con se stessa e la vita. Amori, oriente e speranze incrociano echi di suoni mediorientali e mediterranei. Un intersecarsi musicale di radici, che guardano alla lingua romanì e hindi. Pubblicato da Soundfly e distribuito da Self, il disco vede la direzione musicale di Gianluigi Capasso e il missagio e mixeraggio di Fabrizio Piccolo. Lo scorso 16 Aprile il trio ha presentato il lavoro discografico in un concerto al Trianon Viviani.

Come si sono incrociati inizialmente i vostri percorsi artistici?

Ci conoscevamo tutte e tre già da diversi anni, avevamo avuto modo di condividere la musica in diverse occasioni, durante contest musicali, palchi e live. In un momento di forte cambiamento personale, evidentemente connesso con l’esigenza di esprimersi artisticamente in maniera diversa e più consapevole, io ed Anna Rita Di Pace decidemmo di cimentarci assieme nell’interpretazione di un brano che ci rappresentasse in toto durante quel periodo. Era da poco iniziato il 2019, sapevamo che sarebbe stato un brano interpretato da Mia Martini, nei nostri ascolti quotidiani. Seguendo l’intuizione di Gianluigi Capasso, direttore musicale del nostro progetto, decidemmo di trasformare quella che sarebbe stata una comune reinterpretazione a due voci con accompagnamento di chitarra, nella versione di Donna a cappella, a tre voci, coinvolgendo un’altra donna: la nostra Giulia Olivieri. L’8 Marzo 2019 siamo dunque “rinate” come le Kalìka.

Dal progetto di voce a cappella, alla nascita del trio vocale al femminile l’evoluzione è stata fisiologica, giusto?

Diciamo che è stato fisiologico, come per assecondamento naturale della volontà condivisa di dare vita ad un progetto che fosse in tutto NOI. E’ iniziato un periodo di intenso studio, ricerca e sperimentazione musicale. Tra le infinite possibilità che avevamo, partendo da un foglio quasi completamente bianco, su cui avevamo appena scritto i nostri tre nomi e la parola Kalika, abbiamo gradualmente definito contorni e contenuti del progetto. Ci siamo dedicate, assieme a Gianluigi, un lavoro minuzioso di costruzione del repertorio che ha preso le mosse dallo studio di sonorità percepite vicine e viscerali, non solo della musica partenopea ma anche della importante tradizione popolare siciliana, fino a valicare confini geografici e culturali, recuperando il dolore struggente del fado portoghese o il ritmo lento, cadenzato e sensuale della canzone messicana degli anni ’40.

Ago, filo ‘e parole… perché avete scelto questo titolo?

Il titolo del nostro primo EP rimanda immediatamente all’immagine archetipa di una Donna pensata come una moderna Penelope, seduta dinanzi al telaio della sua anima, che si racconta mentre attende qualcuno o qualcosa, dedita ad una pacifica industriosità, Ella intreccia così, con abilità e sapienza, parole e musica per raccontarsi e raccontare, allo stesso tempo, amori impossibili vissuti sotto i cieli d’oriente, notti insonni trascorse nel pensiero costante dell’amato assente, intona melodie dedicate a Selene, dea bella e luminosa che amava l’oscurità avvolgendosi nel suo abbraccio. I ricordi, l’attesa, le suggestioni antiche e mistiche si mescolano per dare vita all’arte di cui la donna si fa artefice, consapevole e appassionata. Ella rinasce, quindi, dopo l’attesa paziente ed incomincia a cantare sé stessa, l’amore, la vita.

Nell’album, raccontante attraverso il linguaggio, l’amore intenso come legame, talvolta vicino, oppure perduto o ricongiunto. E’ anche un modo per raccontare la figura della donna attraverso le sue incognite, paure e speranze?

E’ l’esigenza di raccontare le infinite donne che siamo state, che siamo e che saremo. Sono dunque inclusi gli aspetti ancora misteriosi e insoluti di ognuna di noi, i timori espressi e quelli reconditi, le speranze urlate e quelle sussurrate per paura che non si avverino mai.

Ederlezi è la festa più antica del popolo romanì. Celebra la primavera ma anche la il culto di San Giorgio. Un brano scelto come auspicio di rinascita, possiamo dire?

Alla domanda “Che genere di musica fate?”, sebbene cerchiamo di rifuggire dall’incasellamento predeterminato di quello che sentiamo e viviamo più come fluire, rispondiamo diplomaticamente “musica world” perché c’è dentro tutto. E’ dunque un limite ma anche no.  Bene, Ederlezi ci sembrava un brano perfetto per dire Kalìka, bocciolo in Hindi, simbolo di rinascita continua, in un’altra lingua ancora.

L’album appare come concept, con un filo conduttore che si apre e conduce lo spettatore verso un epilogo. L’idea di realizzare un percorso musicale è stata anche quella di veicolare l’ascoltatore attraverso un racconto?

L’abbiamo pensato come un cerchio. Finisce e inizia nello stesso punto e poiché inizio e fine sono la stessa cosa potrebbe dunque non finire mai. E’ un racconto continuo e tuttavia sempre diverso perché cambiamo noi, ogni volta. Rinasciamo anche quando non ce ne accorgiamo.

                                                                                                  Sergio Cimmino

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