Musica. Dagli esordi con Pino Daniele al teatro di Elvio Porta: l’arte di suonare e comporre brani dell’arista napoletano Sergio Esposito
“Sai, queste tazzine sono un ricordo di una delle mie prime esperienze musicali. Avevo 20 anni, ero in nave sull’Achille Lauro. Quanti ricordi…”. Inizia così, davanti a un caffè casalingo, l’incontro con Sergio Esposito, pianista, tastierista, compositore, arrangiatore, un musicista poliedrico, una vita di grandi successi ed esperienze in tv e a teatro, due cd da solista, tante collaborazioni con i più grandi nomi dello scenario nazionale e internazionale, ma soprattutto un artista sensibile e appassionato. Tra pochi giorni, dal 12 al 22 aprile, al Ridotto del Mercadante andrà in scena Teresa Sorrentino, una commedia di Elvio Porta, uno degli ultimi lavori dell’autore prima della sua scomparsa. Sergio firma le musiche dello spettacolo. “Non ti nascondo che durante le prove oggi mi sono commosso, guardavo me al di fuori di me e mi rendevo conto che in queste musiche, in queste canzoni c’è la mia vita”, racconta.
Cosa rappresenta per te quest’esperienza?
“Teresa Sorrentino è un nuovo inizio per me, è un ritrovarmi e ritrovare le mie radici nella mia città, nella quale sono tornato a vivere. Per lavoro ho girato tanto, sono stato molti anni a Roma. Ma stare lì per me non ha mai significato interrompere questo filo con Napoli. Ricominciare qui, con questo spettacolo è il mio modo di vedere la musica per quello che sono oggi. Mi sono speso sperimentando generi diversi, mettendomi al servizio del teatro, della televisione, dei tanti con cui ho lavorato. Questa volta invece mi spendo per una causa mia. Teresa, la protagonista, canta, recita, si relaziona con molteplici personaggi che abitano solo in un mondo visionario. Immagina tutto e la musica la sostiene. Teresa è raccontata dalle parole di Elvio Porta ma anche dalle mie canzoni. Qui c’è la musica che incontra la storia e camminano insieme”.
A proposito di incontri come nacque la collaborazione con Elvio Porta?
“Elvio lo incontrai a casa di una mia cara amica, Carmen Di Domenico. Mi invitò a una festa. Non sapevo che ci fosse anche lui. Durante la serata mi misi al pianoforte e suonai una mia canzone. Lui si avvicinò. e mi chiese: “Come posso fare per avere queste musiche?”. Subito misi insieme qualche brano e qualche pezzo strumentale e glieli inviai. Poi una volta mi invitò a casa sua e mi fece leggere una cosa che stava scrivendo. Ci fu subito un feeling artistico tra noi. Dopodiché lui iniziò a scrivere Teresa Sorrentino, ci scambiavamo parole e musica e così cominciò la messa in opera di questo spettacolo”.
Quando è iniziato il tuo rapporto con la musica?
“A 6 anni avevo un pianofortino giocattolo. In famiglia però mio zio cantava e anche i miei genitori e i miei zii suonavano a livello amatoriale. La passione per la musica me l’hanno trasmessa loro. A 14 anni comprai il primo organo professionale e a 15 iniziai a lavorare, a fare il piano bar. Poi cominciò l’esperienza di turnista, qui a Napoli. Ricordo che nei primi lavori in sala di registrazione c’era Peppe Vessicchio e Maurizio Pica. Insieme facevamo i dischi per i cantanti locali e poi trascorrevamo le giornate al ristorante a parlare di musica. Poi i gruppi, l’esperienza sulla nave, le prime tournée. In seguito mi trasferii a Roma a studiare il jazz con Enrico Pieranunzi”.
Come mai la scelta di dedicarti allo studio del linguaggio jazzistico?
“Nel jazz ho trovato i mezzi e la linfa per potermi esprimere con le improvvisazioni, con le armonie. La mia natura non è quella dell’esecutore. Io lo spartito lo leggo ma sono tendente alla creatività e l’ho espressa sempre con linguaggi diversi: con La Nuova Compagnia di Canto Popolare, con la prima tournée di musica leggera con Eduardo De Crescenzo, e poi l’anno dopo con Tullio De Piscopo, ben 50 concerti, anche con musicisti importanti. A propormela era stato Pino Daniele, lo ricordo come se fosse ieri”.
Come era andata?
“Mi chiamò Patrizio Trampetti dallo studio di Pino a Formia, dicendomi che dovevamo fare un disco. Mi passò Pino che scherzò con me perché sapeva che giocavo a fare la sua imitazione. E nacque questo rapporto. Già nel ’78, poco dopo l’uscita di Terra mia, però, mentre ancora andavo a scuola, la sera mi recavo in un garage a via Martucci a sentire le prove di Pino Daniele. E ricordo che ne rimanevo incantato: diversamente da altri che quando improvvisano fanno dei patterns, delle cose schematiche o di esibizione tecniche, Pino era libero e anche nell’improvvisazione sembrava quasi creasse la melodia di un pezzo. All’epoca stava scrivendo proprio la colonna sonora de La mazzetta di Elvio Porta. Curioso come tutte le strade paiano incrociarsi e tornare sempre qui, a Napoli”.
Cosa pensi che possa offrirti Napoli oggi rispetto a quando la lasciasti per andare a Roma?
“Quando sono andato via da Napoli dicevo che era “la città senza cielo”, dove qualsiasi cosa fai non succede nulla, non ci sono possibilità. La mia formazione musicale mi ha dato la possibilità di esprimere la mia sensibilità, tutto quello che è accaduto ha avuto un senso ma quando sono tornato qui ho deciso di dare un’altra direzione a tutto questo. Quel che è cambiato di più oggi è il mio atteggiamento, forse per le tante conferme che ho avuto andando a lavorare fuori, forse perché ho lavorato con molte persone diverse, forse avevo semplicemente bisogno di esperienze. Adesso mi sento me stesso e ho voglia di muovermi anche più in sintonia con quello che sono, non soltanto di mettermi a servizio della musica e non per protagonismo, no, semplicemente per un bisogno autentico e profondo di espressione artistica. Ho ripreso a insegnare, sto scrivendo libri di didattica relativa al jazz e ho iniziato questo bel rapporto artistico con Armando Pugliese, il regista dello spettacolo. Sto vivendo una nuova dimensione e ne sono felice. Credo che, se continuo a metterci la verità nella musica, qualcosa di buono ancora accadrà”.