Musica. Il nuovo disco della pianista Martina Mollo e della violinista Caterina Bianco a metà tra dialetto e brani strumentali
Di giallo e grigio (Arealive), si chiama così il primo disco di un duo di musiciste napoletane, la pianista Martina Mollo (figlia d’arte, di Massimo Mollo, storico membro del Gruppo Operaio E’ Zezi, ndr)e la violinista Caterina Bianco, due anime diverse eppure incredibilmente sinergiche, complementari che incrociano il loro cammino artistico sui banchi del conservatorio S. Pietro a Majella e nel 2012 danno vita alle PMS. L’acronimo sta per “Premenstrual Syndrome”, un nome che nasce quasi per gioco, come una reazione verso qualcosa che spesso è ancora un “tabù” nella società di oggi, o è oggetto di ridicolizzazioni da parte degli uomini, ma che è anche metafora dell’incessante lavoro su se stesse e del complesso alternarsi degli stati d’animo che caratterizza il processo di produzione dei loro brani: intensi, suggestivi, poetici.
Sui social avete affermato che “la musica è donna”. Cosa volete intendere?
Caterina: “L’avevamo scritto tempo fa, come provocazione, quando ancora nei nostri lavori non c’era alcuna intromissione maschile. Veniva da un momento di rabbia in cui ci sentivamo e, ci sentiamo ancora oggi, a volte, in difficoltà nel nostro essere musiciste, in un mondo abbastanza complicato. Quando ci chiamano a suonare ci chiediamo: lo fanno perché ci stimano come artiste o perché siamo femmine e siamo più carine sul palco? Veniva da questo e rappresentava anche l’inizio della nostra produzione artistica, perché il nostro primo EP l’abbiamo prodotto da sole. Da sole abbiamo curato ogni particolare e diretto ogni aspetto artistico. È stato interamente un lavoro di due donne. Con il nuovo disco, invece, abbiamo avuto un’esperienza un po’ diversa, perché abbiamo avuto un finanziamento (l’album è stato realizzato grazie al contributo di Siae Sillumina – categoria nuove opere 2016, ndr) e abbiamo lavorato con un produttore artistico che è Ernesto Nobili, un uomo. Il suo apporto creativo è stato determinante, ha fatto con noi quasi un lavoro psicologico”.
Si può quindi parlare di un’evoluzione dal primo al secondo progetto musicale?
Martina: “Sono passati due anni e noi siamo cresciute come artiste. Ernesto ci ha proposto cose nuove, ma soprattutto è riuscito a tirare fuori da noi cose che sentivamo ma che, da sole, avevamo difficoltà a far emergere. Io e Caterina abbiamo la stessa età, abbiamo fatto lo stesso percorso di studi e per alcune cose anche di vita. Ernesto, essendo più grande, ci ha fatto da fratello maggiore, ci ha aiutato a tradurre il mondo che avevamo dentro”.
Che cosa racconta questo disco?
Martina:“Racconta un passaggio che sta avvenendo, e che nel prossimo disco forse sarà anche più chiaro. Racconta storie d’amore, in entrambe le sue sezioni. È un disco suddiviso in due parti, come un vecchio vinile: il lato A composto da canzoni e il lato B strumentale”.
Caterina: “L’amore di cui parliamo però non è solo quello romantico tra i sessi, ma è l’amore per la terra, intesa come Napoli, ma anche per il mondo, per l’ambiente. È questo quello che ci muove. Dal punto di vista delle sonorità poi, può essere inteso come un viaggio, perché il percorso che ha portato a questo disco è stato un viaggio all’interno di noi stesse come singole e come duo, come entità musicale”.
Che accade durante il processo di creazione delle vostre canzoni? Come nascono?
Martina: “Di solito partiamo sempre da un’idea madre che nasce da una o dall’altra, ne parliamo e poi capiamo come realizzarla a livello di sonorità. Nasce quasi tutto insieme, tranne solo l’idea primitiva, che è frutto dell’istinto. E poi ci piace anche sperimentare”.
Caterina: “Per esempio, in Lo scrivo in metro, ci siamo cimentate con un metodo seriale, una cosa nuova, nata da un suggerimento di un amico che ci ha spiegato questo procedimento compositivo abbastanza complesso, che permette di avere molto materiale da usare in maniera libera, estremamente creativa”.
Che tipo di pubblico è quello che ascolta la vostra musica?
Caterina: “Non è facilmente individuabile. Il proporre sia brani strumentali che canzoni in dialetto ci avvicina a tipologie di pubblico molto differenti tra loro. Nei nostri lavori da un lato si sente un po’ la Napoli di De Crescenzo o di Teresa De Sio, e, dall’altro la musica classica, il minimalismo, la musica contemporanea e l’elettronica o altre influenze che fanno da contraltare e da contrappeso”.
Martina: “Il disco e la nostra musica in generale necessita di ascolto in silenzio, di tempo per essere interiorizzata: non è possibile un ascolto solo di superficie, e questo rappresenta un po’ la ricerca di profondità che ci caratterizza in generale, che è ricerca continua a livello musicale, ma anche dentro noi stesse”.
Dove si sta dirigendo questa ricerca?
Caterina: “Da un punto di vista compositivo stiamo ancora imparando a togliere. Quando si imparano tante cose si rischia di essere un po’ barocchi. Questo processo invece deve volgere a capire quali sono le strutture essenziali per trasmettere emozioni. E allora ci chiediamo: che possiamo fare per far sì che chi ci ascolta si emozioni, senza essere distratto da ciò che facciamo a livello musicale?”.
Martina: “Le idee le abbiamo ma dobbiamo e vogliamo imparare a fidarci anche di altre braccia che possano aiutarci e perché no, migliorarci, così come è accaduto con l’apporto di Ernesto in questo lavoro. Io credo che dovrebbero insegnarla la fiducia!”.