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Tarallo ‘nzogna e pepe: dal Ventre di Napoli a New York come sono cambiati nei secoli

Le prime tracce del Tarallo ‘nzogna e pepe si trovano nell’opera di Matilde Serao “Il Ventre di Napoli”. Da cibo salvavita dell’800 oggi sono un must da sgranocchiare a Mergellina con birra fredda.

Le origini del Tarallo ‘nzogna e pepe, questo irresistibile mix di dolce e salato, grasso e leggermente piccante, caldo e profumato, friabile e croccante, si possono rintracciare nell’opera di Matilde Serao “Il ventre di Napoli”.

La scrittrice nel suo romanzo dell’800 parla per la prima volta delle “fondaci” di Napoli, i bassifondi della città, le aree popolari a ridosso del porto, il ventre vuoto di una Napoli denutrita. E’ qui che nasce il tarallo, un espediente economico per sfamare i poveri abitanti del lungomare che con pochi soldi potevano riempire la propria pancia e quella della loro famiglia per tutta la giornata.

L’idea fu dei fornai che, per evitare sprechi ( a Napoli non si butta mai niente! ), usavano lo “sfriddo”, cioè gli avanzi del pane appena fatto e pronto da infornare, a cui aggiungevano “nzogna” cioè sugna ( o strutto ) e molto pepe per ricavare poi delle striscioline che attorcigliavano e richiudevano a mò di ciambella. Le ciambelle di pane, strutto e pepe così ottenute venivano infornate insieme al pane. A queste ciambelle fu dato il nome di taralli, dal greco “daratos” che significa “sorta di pane” poiché appunto si trattava di una variante di pane arricchito con strutto e pepe.

Una volta sfornati, i taralli venivano posti in una cesta, la “sporta”, con sopra una pesante coperta per non farne disperdere il calore. Il segreto della bontà del tarallo consiste infatti nel gustarlo caldo poiché è col calore che la sugna si scioglie e crea in bocca quel magico sapore che solo le papille gustative sono capaci di spiegare con suoni più che altro onomatopeici. La sporta veniva portata in giro dal “tarallaro”, oggi diremmo venditore ambulante di taralli, che vicolo per vicolo portava i taralli nella sporta fin dentro i bassi degli abitanti della città. Da qui nasce il detto di fare“ ‘a sporta d’o tarallaro” cioè andare continuamente da un posto all’altro senza trovare mai riposo.

L’inserimento della mandorla avvenne solo in seguito quando i taralli si cominciarono a gustare insieme al vino nelle osterie. A quest’epoca risale invece un altro detto “Tutto finisce a tarallucci e vino” per dire di una situazione che si conclude con una soluzione arrangiata, alla buona, non ufficiale.

Dalle osterie ai chioschi, dai forni alle pasticcerie, oggi in tutti questi luoghi è possibile reperire i taralli e non solo a Napoli perché sono riusciti ad oltrepassare i confini non solo cittadini e nazionali, ma anche europei, giungendo fino in America, a New York. Non c’è più quindi il tarallaro ma i tarallifici e i taralli non sono più il cibo salvavita di una volta ma uno sfizio, uno snack detto all’americana, da accompagnamento ad un aperitivo, immancabili ovviamente nel luogo della loro origine, sul lungomare di Mergellina, dove i napoletani, oggi col ventre pieno, amano sgranocchiarli inebriandosi della vista dello stesso Vesuvio e dello stesso mare di secoli fa, accompagnandole con una benvenuta fredda lattina di birra.

Leggi qui la ricetta dei taralli ‘nzogna e pepe!

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