Roth, la grande voce d’America, l’autore di opere quali Pastorale Americana o Lamento di Portnoy, si è spento all’età di 85 anni a New York
«Ho bisogno di una realtà, mi basta strofinare due pezzi di realtà insieme per dare vita ad un fuoco di realtà»
Si è spento la scorsa notte all’età di 85 anni per insufficienza cardiaca in un ospedale di Manhattan Philip Roth, la grande leggenda della letterarura statunitense, l’autore di capolavori indimenticabili Pastorale americana e Lamento di Portnoy, La macchia umana, Complotto contro l’America, solo per citarne alcuni.
Nato nel 1933 nel New Jersey, discendente di una famiglia americana, conseguì la laurea alla Bucknell University e un master in letteratura inglese all’Università di Chicago.
Sesso, morte, religione, morale i temi al centro delle sue produzioni, capolavori capaci di raccontare l’uomo, la società, l’identità, di influenzare tutta la letteratura del secondo dopoguerra e di farlo in modo “universale”, come lo stesso Roth ha sempre dichiarato: «Non scrivo in ebraico, scrivo in americano».
Vincitore dei più grandi premi letterari, del Pulitzer nel 1998, del Man booker international prize nel 2011, ma mai del Nobel.
Nel 2012, dopo due anni dal suo ultimo romanzo, Nemesi, Roth aveva annunciato di voler abbandonare la scrittura perché incapace di combattere la frustrazione che caratterizza il processo creativo, dichiarando quindi sul quotidiano francese Libération: «Raccontare storie, una cosa che è stata preziosa per tutta la mia vita, non è più centrale. È strano, non avrei mai immaginato che una cosa del genere potesse accadermi».