Chiudiamo il Museo Lombroso di Torino e tutti i luoghi che inneggiano all’antropologo veronese che sosteneva l’inferiorità delle popolazioni del Meridione studiando i teschi dei briganti uccisi e portati in Piemonte. In Italia gli studi tra la razza e le relazioni con il crimine sono stati portati avanti da Cesare Lombroso e dai suoi colleghi della società italiana di criminologia durante il XIX secolo. Lombroso credeva che esistessero due tipi di italiani: i settentrionali di origini ariano-nordiche e i meridionali di stirpe negra e africana. Partendo proprio da questo presupposto e dai pregiudizi riservati verso i nativi del Mezzogiorno, Lombroso sosteneva che i meridionali fossero più inclini alla criminalità, al vagabondaggio e alla pigrizia rispetto a quelli del settentrione propensi ad una vita stabile. Osservando il teschio del brigante Giuseppe Villella da Motta Santa Lucia, in Calabria, Lombroso fece la sua “geniale” scoperta: l’autopsia sul suo cranio lo portò a concludere che delinquenti si nasce. E questo perché Vilella aveva una “fossetta occipitale mediana”: un’anomalia descritta da Lombroso in un saggio del 1876. Inoltre, l’allievo di Lombroso, Enrico Ferri, proseguendo sulle sue teorie, formulò teorie razziali sull’inferiorità delle persone di colore e degli italiani del Sud, considerandole razze inclini alla violenza.
E ancora oggi si celebrano figure come quella controversa di Lombroso con il Museo dedicato a lui e alle sue teorie.
Di qui la petizione lanciata dal “Quotidiano Napoli” contro il Museo Lombroso. Una raccolta di firme che arriva all’indomani dell’ennesimo episodio di offesa e razzismo ai danni dei meridionali. Lunedì scorso, infatti, allo stadio San Paolo, i tifosi dell’Atalanta hanno esposto delle sciarpe che inneggiavano al carcere-lager di Fenestrelle e mostravano il volto di Lombroso. Ieri abbiamo dedicato l’apertura del giornale a questo clamoroso autogol dei bergamaschi che, di fatto, esponendo delle sciarpe che rimandavano al luogo in cui vennero deportati i soldati napoletani, ne hanno ricordato l’atto eroico e la lealtà nei confronti del re Francesco II, a cui avevano giurato fedeltà. Ai soldati meridionali, infatti, fu proposto di avere la libertà passando tra le fila dell’esercito piemontese ma molti di loro scelsero di non tradire il re e pagarono con la prigionia ed una morte di stenti (se non altro) il loro atto di coraggio. Appare chiaro a tutti, tranne agli ignoranti atalantini autori della provocazione di lunedì scorso, che inneggiare al lager di Fenestrelle significa farsi un autogol.Ed il primo a sposare la linea del nostro giornale è il sindaco Luigi de Magistris, che ieri ha letto e commentato con noi la nostra prima pagina in cui denunciavamo l’episodio che ha visto protagonisti i tifosi bergamaschi. “Quest’immagine dei sostenitori dell’Atalanta è vergognosa ed è l’occasione per chiedere la chiusura del Museo e dei luoghi in cui si inneggia a Lombroso. Questo episodio va denunciato con forza anche perché siamo tutti antropolgicamente diversi nel mondo e siamo tutti antropologicamente uguali nei diritti e quindi rispediamo al mittente quest’immagine”. In merito poi all’accento posto dal nostro giornale sul clamoroso autogol dei tifosi bergamaschi, il sindaco si è detto pienamente d’accordo ed ha sintetizzato il suo pensiero sostenendo che “chi attacca Napoli ha già perso”.
Ora, però, secondo noi è arrivato anche il momento di agire, di fare qualcosa di concreto affinché queste discriminazioni e questi episodi di razzismo e di inciviltà ai danni dei meridionali vengano puniti a dovere. Si potrebbe ipotizzare, per esempio, l’applicazione di una sanzione pesante nei confronti di chi offende i meridionali chiamandoli “terroni” oppure, appunto, inneggiando a Fenestrelle. Oppure ancora, la chiusura di un luogo in cui si diffonde il verbo di un criminologo le cui teorie sono pesantemente discriminatorie ed in cui sono conservati i teschi che dovrebbero essere restituiti ai Comuni di appartenenza e avere finalmente una degna sepoltura. Tra questi i crani dei meridionali trafugati come quello del brigante Giuseppe Vilella. Ecco, appunto, iniziamo col chiedere la chiusura di questo luogo. Se siete d’accordo, potete andare sulla pagina internet http://chng.it/bmTZNjqCvv e firmare la petizione lanciata dal nostro giornale. E questo è solo il primo passo, perché questo giornale è nato anche per avere un’azione civica e concreta a difesa del popolo del Meridione. Quello di oggi, ma anche di quello di ieri che già non ha ricevuto la giusta considerazione e giustizia nei libri di Storia che circolano nelle scuole italiane.
Il direttore: Alessandro Migliaccio
Giornalista e scrittore, autore di numerose inchieste nazionali sulla camorra, sugli sprechi di denaro pubblico, sulla corruzione, sulle truffe e sui disservizi in Italia. Ha lavorato dal 2005 al 2020 per “Le Iene” (Mediaset), affermandosi con una serie di servizi che hanno fatto scalpore tra cui quelli sulla compravendita di loculi nei cimiteri, sulla cosiddetta “terra dei fuochi” e sulla pedofilia nella Chiesa. Ha lavorato anche per “Piazza pulita” (La7), Il Tempo, Adnkronos, E-Polis, Napolipiù, Roma, Il Giornale di Napoli e Il Giornale di Sicilia. Ha scritto tre libri di inchiesta (“Paradossopoli – Napoli e l’arte di evadere le regole”, ed. Vertigo 2010, “Che s’addà fa’ pe’ murì – Affari e speculazioni sui morti a Napoli”, ed. Vertigo 2011 e “La crisi fa 90”, ed. Vertigo 2012) e un libro di poesie (“Le vie della vita”, ed. Ferraro 1999). Ha ricevuto una targa dall’Unione Cronisti Italiani come riconoscimento per il suo impegno costante e coraggioso come giornalista di inchiesta. Ha ricevuto anche il Premio L’Arcobaleno napoletano dedicato alle eccellenze della città partenopea. È stato vittima di un’aggressione fisica da parte del comandante della Polizia Municipale di Napoli nel 2008 in seguito ad un suo articolo di inchiesta ed è riuscito a registrare con una microcamera nascosta l’accaduto e a denunciarlo alle autorità devolvendo poi in beneficenza all’ospedale pediatrico Santobono di Napoli la somma ricevuta come risarcimento del danno subito.
Dal 2019 è il direttore di Quotidianonapoli.it