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Il Liceo Jacopo Sannazaro al Vomero

Adolfo Scotto di Luzio è un professore di Storia contemporanea della Federico II, allievo di Aurelio Lepre, esperto, in particolare, degli avvenimenti legati al periodo fascista. Ma è anche un acuto indagatore del fenomeno istruzione, compendiato in un libro del 2015: Senza educazione, i rischi della scuola 2000. Scotto di Luzio da qualche tempo è anche articolista del Mattino e in questa veste, nei giorni scorsi, ha preso spunto da un marginale episodio di cronaca, la sconfitta (pesante numericamente) subita nel corso di una sfida televisiva dagli alunni di una quinta classe del liceo Sannazaro di Napoli a opera dei loro coetanei del liceo Carducci di Milano, per affrontare un discorso di più ampio respiro sulle differenze in fatto di preparazione generale fra la scuola del Nord e quella del Sud. Apriti cielo! Il giorno dopo la preside del Sannazaro Laura Colantonio ha chiesto e ottenuto ospitalità sul Mattino per difendere i suoi allievi, e lo ha fatto con argomenti appartenenti più alla categoria del “tifo” di impronta calcistica che non alla categoria della logica e della realtà. Diciamocelo in tutta franchezza, una caduta di stile. Cosa stranissima perché la Colantonio, risultati alla mano, è certamente tra i dirigenti di scuola superiore più affermati nell’ambito dell’Ufficio regionale scolastico della Campania e ha alle spalle una splendida esperienza al Garibaldi, poi seguita da un’altrettanto lusinghiera dirigenza al Sannazaro, dove ha conquistato il primo posto, nella speciale classifica di Eduscopio, tra i licei classici napoletani, sottraendolo all’Umberto. Ma in questa circostanza si è lasciata prendere la mano.

L’occasione era troppo ghiotta e Scotto Di Luzio ha immediatamente replicato, tralasciando qualsiasi riferimento diretto a quelli che anche a lui erano sembrati argomenti inconsistenti della replica della Colantonio, e allargando ulteriormente l’osservazione alla crisi della scuola in genere e a quella meridionale in particolare, con riferimenti ai ceti sociali e alla borghesia che nello stabilizzarsi del divario esercitano un ruolo quanto mai significativo. Polemica chiusa? Il buon senso faceva proprio pensare di sì. E invece no, perché il giorno successivo chiedevano e ottenevano ospitalità al Mattino gli alunni della quinta sconfitti a Milano e, con argomenti altrettanto inconsistenti, cercavano di spiegare che per loro era stato più un gioco che una gara seria, una competizione televisiva e nulla più.

Noi speriamo che questa iniziativa inopportuna sia esclusivamente frutto dell’innocenza e dell’inesperienza dei 18 anni di questi ragazzi vomeresi e se così fosse sarebbe tutto sommato comprensibile. Ma per quanto bonariamente giustificabile essa è certamente la spia di un malinteso senso di identità che esasperato (i ragazzi del Sannazaro,non c’entrano nulla quando il discorso si generalizza) ha condotto alle aberrazioni che sono sotto gli occhi di tutti. La scuola, la “buona scuola”,  per dirla alla Renzi, come andrebbe intesa, non esiste più. Le responsabilità di questo scadimento sono ovviamente diffuse, ma permetteteci di dedicare il podio soprattutto ai genitori, che in tutti questi anni hanno sistematicamente interferito con il processo educativo. I professori hanno lentamente smarrito la loro funzione ex cathedra, messi alle strette dalle famiglie che hanno progressivamente conquistato sempre più spazi, incalzandoli e opprimendoli con richieste sempre più insistenti sui voti, sui programmi, sulle qualità della interrogazioni e sulla quantità degli assegni a casa. Il tutto è avvenuto mentre la scuola, figlia delle pessime riforme di tutti questi anni, invece che puntare sulla programmazione tradizionale si è immiserita nella ricerca di programmi alternativi cervellotici, fatti di progetti improbabili che hanno sottratto tempo allo studio, a scapito della formazione. Solo pochi istituti in Italia hanno saputo dosare con intelligenza il vecchio e il nuovo e, purtroppo, la maggior parte di essi è stanziata al Nord. Che vi siano delle differenze non lo scopre oggi Scotto di Luzio e non lo certifica certo la sconfitta televisiva degli studenti del Sannazaro. Le ha brutalmente evidenziate anche l’ultimo rapporto Invalsi del 2017. Sono sotto gli occhi di tutti. Le aree più virtuose appartengono al Veneto, al Friuli, alla Lombardia e alla provincia di Trento. Ma la preparazione generale degli studenti italiani sfigura soprattutto a livello internazionale. Secondo l’ultima pagella stilata dall’Ocse nel 2016 sul livello di preparazione dei quindicenni italiani, risulta che questi ultimi sono quasi il fanalino di coda nella classifica dei Paesi europei (Estonia e Finlandia occupano le prime posizioni), ma soprattutto sono lontani anni luce dagli studenti dei Paesi asiatici come Singapore e Giappone. Bisognerebbe prenderne atto e reagire con umiltà di fronte alle analisi degli addetti ai lavori, che magari traggono lo spunto da un marginale episodio di cronaca televisiva per affrontare la problematica nel suo aspetto complessivo e lanciare soprattutto un campanello di allarme, che sia valido per gli insegnanti, per gli allievi, per i genitori e magari per il legislatore prossimo futuro. Come si può mai sperare in un recupero di prestigio e di operosità se questi ragazzi al primo rimprovero si mettono a strillare, se i più agguerriti sono ormai giunti al punto di sfoderare un coltello e di aggredire il professore, se i genitori sono pronti a difenderli al primo 4 in profitto e a protestare se non hanno ottenuto il 100 al diploma?

L’ultimo esempio viene da Foggia dove un padre ha accoltellato il vicepreside colpevole di aver fatto un rilievo al figlio. Come sono lontani i tempi della nostra adolescenza quando il motto imperante nelle nostre famiglie, in tutte le nostre famiglie, era: “Il professore ha sempre ragione!”. Qui non si vuol certo rispolverare il mito del maestro Perboni e della maestrina dalla penna rossa celebrato da Edmondo De Amicis. Era un modello di scuola figlio dei tempi che furono, cioè fine ‘800, quando l’Italia faticosamente affrontava la tormentata strada dell’identità unitaria nazionale. Il libro Cuore la favorì certamente, svariando dal tamburrino sardo al piccolo scrivano fiorentino. Era un modello certo non proiettabile nella società del nuovo secolo. Ma se le inflessibilità e le sensibilità di quei maestri sono oggi improponibili, nell’era della lavagna e dei registri elettronici, dei social che hanno invaso anche il mondo dell’istruzione, appaiono altrettanto improbabili i modelli scaturiti dal permissivismo imperante che scandisce i nostri tempi, che finisce con il negare ogni forma di meritocrazia. E che ha ridotto la scuola italiana a una cenerentola.

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