Cresce la mobilitazione contro il mostro di cemento in costruzione sul Monte Echia, una sorta di parallelepipedo alto oltre quattro metri (a due passi dai resti della villa di Lucullo e dal castello di Lamont Young) che oscura la vista della meravigliosa baia di Napoli e pregiudica ulteriormente la stabilità del costone tufaceo. Si tratta della stazione superiore dell’ascensore pubblico che dovrebbe collegare via Santa Lucia con il sovrastante belvedere di Pizzofalcone. Per completarlo, lungo il traforo verticale sono necessarie opere di contenimento del tufo giallo, che rischia di spaccarsi per le colate di cemento; mentre è previsto che, soltanto dopo l’entrata in funzione dell’impianto, si provvederà al consolidamento del costone… “Il tutto in violazione del codice dei beni culturali e del paesaggio”, denunciano le associazioni, “e mentre a pochi passi già esiste un impianto analogo che si potrebbe restaurare con gli stessi fondi europei disponibili per il nuovo elevatore”. Pochi giorni fa sono state presentate due interrogazioni alla Camera, a firma dei deputati De Lorenzo (ex M5S ora Liberi e Uguali) e Cantalamessa (Lega) per chiedere di indagare sulla legittimità del progetto e di valutare il ripristino dello status quo ante. Una questione all’attenzione del premier Conte e dei ministri Costa e Franceschini. Non si escludono, a breve, sviluppi.
Pochi napoletani conoscono questo luogo magico e di struggente bellezza a 56 metri sul livello del mare al quale s’accede attraverso via Egiziaca a Pizzofalcone (e dove nell’ottavo secolo prima di Cristo nacque Parthenope). Uno spuntone roccioso che si staglia sul golfo di fronte all’isolotto di Megaride e il cui profilo è parzialmente visibile soltanto nel punto in cui da via Santa Lucia si svolta per via Chiatamone. In questo luogo leggendario, selvaggio e misterioso, ecco spuntare il mostro: “Un casermone tipo cappella di un cimitero modernista”, così definito da alcuni architetti che si stanno scatenando via facebook .
Tra i leader della protesta, Antonio Pariante del Comitato di Portosalvo, un professionista impegnato da 25 anni in battaglie a tutela del patrimonio culturale, sulla scia delle grandi esperienze condivise con le Assise di palazzo Marigliano, Italia Nostra, Centro storico-Unesco… Una mobilitazione che viene da lontano. “No alla struttura in cemento armato che copre il panorama della baia facendo scempio di un luogo straordinario, vincolato anche dal punto di vista archeologico, e ciò in violazione del codice dei beni culturali e del paesaggio”.
L’idea di collegare meglio la sommità del Monte Echia con la strada sottostante poteva anche essere apprezzabile. “Ma di ascensori ce ne sono già altri tre, che collegano il centro a Monte di Dio”, ricorda Pariante. L’ascensore del ponte di Chiaia. A breve, quello della linea 6 che parte da Chiaia per sbucare in piazza Santa Maria degli Angeli… E quello che da via Chiatamone (a sinistra, guardando l’ingresso della galleria Vittoria) emerge all’altezza della Nunziatella; a quanto pare, funzionante, anche se è fermo da 60 anni per supposti problemi di infiltrazioni (pare che ci fosse anche un interesse degli abitanti dei palazzi che costeggiano l’ascensore a evitare eccessivi viavai). Si potrebbe restaurare. “Perché farne un quarto? Spreco di denari”.
Il Comitato di Portosalvo e altre associazioni ambientaliste da tempo muovevano obiezioni circa la realizzazione dell’impianto elevatore nell’area del Monte Echia sottoposta a vincolo paesaggistico, archeologico e culturale (da dove prende origine la storia della città). I lavori purtroppo sono andati avanti. Ma adesso si chiede il ripristino dello stato dei luoghi. “Il modo c’è”, suggerisce Pariante: “Ricorrere agli strumenti di autotutela per correggere gli errori degli amministratori precedenti, un po’ come succede nello sport con il VAR, che consente all’arbitro di rimediare agli errori”.