Napoli dell'arte è il riscatto su Gomorra

Mai come in questi anni e in questi mesi la nostra Napoli è stata attraversata da una grande contraddizione: da un lato la città splendente di monumenti, di arte, di cose antiche, di cultura, di saperi, di bellezze naturali e paesaggistiche, di tutto. Dall’altro l’agglomerato urbano, prevalentemente periferico, lacero e dolente, in preda all’incuria, ai disservizi, al disordine civico, e, soprattutto, alla criminalità organizzata. L’immagine di una metropoli asfissiata dal malaffare camorristico ha ricevuto un impulso deleterio, quasi soffocante dalla lunghissima fiction televisiva di Sky, Gomorra, (il titolo è ispirato al celeberrimo best-seller di Roberto Saviano), imperniata su protagonisti in negativo che sono diventati altrettanto famosi. E proprio come accadde per il libro dell’allora semisconosciuto scrittore napoletano, anche in occasione della serie televisiva si è scatenato un vibrante dibattito, soprattutto mediatico, sul valore diseducativo o meno di una rappresentazione a tratti anche realistica, ma estremamente enfatizzata dalla “ragion di Stato” scenica. È davvero questa l’altra faccia della medaglia? Il bullismo camorristico nella realtà di tutti i giorni è davvero così protervo e becero? Ad ogni commentatore di buon senso, che non faccia prevalere il sentimento in difesa di una o dell’altra convinzione, risulta oggettivamente difficile fornire una risposta esaustiva. Il problema si pone ed è arduo enucleare aspetti positivi di una rappresentazione che fornisce un quadro generale fosco della realtà napoletana e in genere della Campania. Ma è pur evidente che andrebbe sottolineato un altro aspetto: dalla visione di Gomorra sono apparse chiare esagerazioni, individuabili in alcuni personaggi che hanno finito per assumere il taluni passaggi i contorni della caricatura, andando ben oltre la pur dura realtà. Il successo planetario che ha reso noti Savastano, Scianel, l’Immortale ed altri ceffi della stessa risma, che ha arriso alla fiction (un terreno peraltro che non rientrava nelle corde di Murdoch e del suo entourage), ha comportato un inevitabile riflesso negativo sull’immagine della città, sarebbe stupido nasconderlo. Indipendentemente dalla magra consolazione delle esasperazioni artistiche, delle “licenze poetiche” sfruttate abilmente da regista e sceneggiatori. C’è un rimedio a questo fiume di discredito? Sì, a nostro avviso la compensazione, persino con un differenziale in positivo, la si può intravedere in un’altra immagine che ha anche, seppur solo per qualche ora, conquistato le copertine dei media: la foto di migliaia di turisti italiani e stranieri disciplinatamente in fila per ammirare quell’immenso capolavoro che è il “Cristo velato”. Quella coda è il simbolo di una Napoli che va oltre la camorra, che sovrapponendosi al lavoro delle forze di sicurezza e della magistratura, sfida la criminalità su un terreno ad essa completamente ignoto. È la Napoli che riesce finalmente, dopo decenni di oscurantismo, ad offrirsi in tutto lo splendore del suo centro storico, dei suoi monumenti, delle sue straordinarie chiese, dei suoi musei. È la Napoli che continua a sfornare scienziati che tutti copiano e ci invidiano, che si fonda su un ceto medio laborioso e su una classe di intellettuali ancor viva, nel solco tracciato da Vico, da Filangieri, da Genovesi, da Benedetto Croce. Una Napoli virtuosa che balena anche da altre spaccati televisivi e cinematografici, come appare, seppur a sprazzi dai “Bastardi di Pizzofalcone”, tratto dall’omonimo e fortunato romanzo di Maurizio De Giovanni o dall’ultima opera di Ozpetek, “Napoli velata”. Per un attimo il nostro lettore provi a dimenticare la città “ferita a morte” e ad immaginare che la Napoli vera e celebre nel mondo possa diventare solo questa. È una speranza.

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