Pubblicato il rapporto “al ribasso” per il 2020 della Commissione Ue sull’intero comparto Blue… con alcune dimenticanze – Secondo Giulio Sapelli, Presidente di BlueMonitorLab “sottostimati i dati su cantieristica, turismo blue, attività della difesa in Mediterraneo e nautica da diporto
La Blue Economy, nonostante una cronica sottovalutazione del suo impatto in settori come quello del turismo (5 milioni di occupati complessivi secondo la Ue, 2,2 milioni di addetti secondo le più recenti rilevazioni in Italia a fronte di un peso occupazionale del turismo superiore ai 3,5 milioni) e quello dell’industria cantieristica, il cui fatturato è palesemente sottostimato, si conferma uno dei pilastri sui quali i Paesi dell’Unione europea sono chiamati a costruire il loro futuro.
Secondo il rapporto della Commissione Ue diffuso in queste ore, l’economia del mare (o quantomeno quella parte di economia del mare che l’Unione riconduce al comune denominatore Blue) assomma un fatturato superiore ai 750 miliardi di euro, con un Gross Value Added (GVA) di 218 miliardi e utili per 94 miliardi. Cinque milioni gli occupati regolarmente registrati con contratti di lavoro con una crescita di oltre il 15% nel decennio 2009 – 2018.
Il 58% della Blue Economy è controllato in Europa da Spagna, Germania, Italia e Francia, ma a segnare tassi di crescita superiori al 50% negli ultimi dieci anni sono Irlanda, Portogallo e Malta seguiti a ruota (con incrementi di GVA superiori al 30%) da Belgio, Polonia e Svezia.
Anche il rapporto 2020, che si riferisce ai dati di sintesi del 2018, “soffre – sottolinea Giulio Sapelli, Presidente di BlueMonitorLab, il centro studi italiano sulla Blue Economy – di un’ormai cronica sottovalutazione e dell’esclusione di intere filiere di economia blue dal computo complessivo anche relativo all’impatto sul PIL”. La sottovalutazione riguarda i porti e il loro impatto diretto e indiretto sulle economie nazionali e su quella continentale, l’estesa fascia di turismo marittimo non riconducibile alla pura attività alberghiera, i cantieri (nel computo di fatturato che è relativo al periodo pre-Covid, l’impatto degli ordini per nuove navi da crociera è considerato in percentuale minima). Sono poi ignorate attività indotte, anche nel settore logistico, degli approvvigionamenti, della ricerca, della difesa dell’ambiente che sono proposti nel rapporto Ue più come enunciazioni che come effettivi driver di fatturato e occupazione.
“Il focus del rapporto su nuovi settori di attività – ribadisce BlueMonitorLab – e sulla loro crescita conferma l’impressione di un comparto complessivamente immaturo, che presenta (e in ciò si giustifica anche l’impegno della Banca Europea per gli investimenti nella Blueinvest Platform) enormi potenzialità di sviluppo”. Su queste attività il rapporto transita… a volo d’uccello, comprendendo fra le nuove attività, quelle relative alla difesa (177.000 occupati in un settore destinato secondo tutti gli studi di geopolitica a posizionarsi negli anni a venire su una vera e propria linea del fronte sia commerciale, relativa al confronto Usa-Cina, sia militare, e per quanto concerne fenomeni come l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani); oppure quelle relative all’energia prodotta dal mare e in mare (420 milioni di fatturato) o i desalinizzatori (contratti in essere per 520 milioni di Euro).
Ancora una volta il Rapporto della Commissione appare come un canovaccio utile, ma ancora, da scrivere per completare caselle vuote o decisamente ignorate specie quelle relative alle connessioni fra Blue Economy e il sistema economico e produttivo complessivo dei paesi europei. Basti pensare all’assoluta sottovalutazione delle tematiche relative alla portualità turistica e al nautica da diporto, al tema delle difesa delle coste, della protezione dall’inquinamento, o dell’high tech applicata alla Blue Economy, anche attraverso un sistema in forte sviluppo di start up. Nel rapporto è anche contenuto un allarme ambientalista estremo relativo al cambiamento climatico che potrebbe indurre, anche a causa dell’innalzamento del livello del mare, ma specialmente delle conseguenze climatiche delle emissioni, un pericolo crescente nel secolo in corso: senza interventi di mitigazione dei danni climatici e di protezione delle coste i Paesi europei potrebbero subire un danno annuale di 800 miliardi di euro causato da inondazioni, a fronte di un costo per interventi preventivi pari a 2 miliardi all’anno. Per la sola Italia esposti al rischio inondazioni marine sarebbero più di 70.000 abitant