Sul limine della crisi globale che ci ha investiti, e che ora sembra darci una tregua, abbiamo chiaramente assistito al prodomo del collasso di tutto ciò che ha rappresentato, nel nostro tempo, cardine e certezza del mondo occidentale (e nazionale).
Abbiamo dunque assaporato l’amarezza del disinganno relativo alle ostentate sicurezze, tramutatesi nei balbettii attoniti e frastornati di attori che da tempo si propongono conduttori delle nostre sorti. Si è dimostrato un mondo debole quello occidentale, impreparato, incerto e barcollante in ogni sua sfacettatura: scientifica, politica, istituzionale.
Un mondo siffatto spiega, e se ne comprende soltanto ora la ragione, anche la sua inestetica fisionomia e l’ incapacità di dare, in senso lato, una declinazione artistica al proprio pensiero. Il tramonto della categoria dell’arte (quella del mondo occidentale) si colloca infatti all’interno di una crisi generale delle categorie conoscitive, gnoseologiche, e si palesa in una paralisi comunicativa dell’atto creativo, inabile ad esprimere qualità essoteriche e dare senso condiviso alla propria manifestazione. Detto ciò occorre soffermarsi per un istante su un significato, appena più profondo, che è strutturale all’espressione artistica, ovvero la congenita funzione di ritrarre e modellare la forma del mondo sociale ed epocale in cui si rivela. Nello scenario occidentale, dunque, questa qualità da tempo si esprime in una caratteristica e serrata astrazione linguistica, giustificata da un discutibile intento edonistico. Elementi che spiegano, crediamo, la citata incapacità dialogica e il ripiegamento esoterico dell’arte; che hanno prodotto il paradosso di un linguaggio che parla per sé stesso e si auto esclude dal tempo e dall’umano.
Nello scenario tempestoso di questi tempi è riemerso, quasi inattesa scialuppa di salvataggio, il “genio eroico napolitano” capace di dare risposte, anche scientifiche, alle incertezze del presente. Esso si configura come l’originale ibridazione tra anima razionale e poetica, un immotus instabilis, tratto caratteristico nell’elaborazione del pensiero napoletano quale espressione di una emancipata età degli eroi. Nel pensiero del nostro Giambattista Vico l’età degli eroi, è una stagione – per eccellenza estetica – che si manifesta nello sviluppo cognitivo di tutte le società. Essa è anche età poetica in cui l’uomo, non ancora sopraffatto dalle leggi, dai protocolli, dalle gerarchie categoriali, vede con animo perturbato e commosso. Oggi dunque il genio eroico, o poetico, napolitano (forse anche un tantino conservatore) si configura come espressione di una potenziale risposta all’intero mondo occidentale. Una replica alla presunzione dei protagonismi tipici di un evo che volge al termine; a quanti ci hanno condotto sull’orlo del baratro e ora volgono indietro per vedere se vi sia la strada per un cauto ritorno che chiamano tal volta decrescita.