L’emergenza Coronavirus, per quanto a Napoli non ancora avvertita in termini sanitari, ha posto comunque in subordine le questioni politiche che riguardano la Campania. In subordine certo, ma non le ha comunque eliminate, perché restano tutte ancora in ballo. Ed anzi vengono vivificate proprio dall’ultima parentesi elettorale di domenica scorsa.
Che la vittoria di Sandro Ruotolo alle suppletive per l’elezione di un senatore non possa essere considerata un’operazione-laboratorio è nei fatti. Con il 9,5 per cento di elettori nessun risultato può essere considerato indicativo. Ma è evidente che, per quanto irrilevante, questa vicenda ripropone comunque, rafforzandola, l’ipotesi di un accordo a largo raggio tra le forze di sinistra per contrastare quella che, sulla carta, appare come una vittoria scontata del centrodestra alle prossime regionali. Gli ultimi sondaggi, infatti, danno al candidato del centrodestra unito un margine di 10 punti di vantaggio, a patto che Pd e 5 Stelle vadano divisi. Si tratta di un vantaggio peraltro assolutamente virtuale, considerate le divisioni che stanno dilaniando il centrodestra, tra divergenze sul nome del candidato tra Lega e Forza Italia e tra faide all’interno di quest’ultimo partito.
Ma non è qui dei problemi del centrodestra che vogliamo parlare. Ci interessa invece riportare il discorso sulle considerazioni successive alla mini-elezione di domenica scorsa.
Subito dopo la proclamazione di Sandro Ruotolo come vincitore de Magistris è salito sul podio, ritenendosi protagonista dell’operazione. Ed in effetti Ruotolo è sempre apparso vicino al sindaco, sia politicamente che per questioni di “parentela”, essendo il cugino di Silvia (che fu assassinata a Salita Arenella durante un conflitto a fuoco tra bande di camorristi) e come tale parente stretto di Alessandra Clemente, il braccio destro operativo, da sempre, del sindaco.
Ma Ruotolo era appoggiato anche dal Pd ed è proprio questa la strada che de Magistris vuole percorrere: convincere l’alleato di una sola volta a diventare alleato stabile e a proporre un patto per le regionali, che coinvolga anche i 5 Stelle, a condizione ovviamente che il candidato governatore non sia l’odiato De Luca. Non a caso si è precipitato a dirsi d’accordo sul nome del ministro Costa che i pentastellati hanno già indicato come loro candidato nel tentativo, fallito, di stanare il Pd e di distoglierlo dalla prospettiva di appoggiare appunto De Luca. Manovre tattiche dunque. Ma a nostro sommesso avviso tutte destinate a fallire miseramente. Per la semplice ragione che De Luca, come abbiamo più volte già scritto, è già in piena campagna elettorale, ha organizzato le liste che dovranno appoggiarlo e mai accetterà di fare il passo indietro. Dal Nazareno glielo hanno già proposto, offrendogli addirittura la poltrona di ministro per il Sud ed anche altri appetibili cadreghini di imminente investitura. Ma lui ha sempre sdegnosamente rifiutato. Ritiene di aver ben governato e legittimamente vuole ricandidarsi per proseguire il lavoro. E non accetta, ovviamente, alcuna ipotesi di inciucio con de Magistris e i 5 Stelle, con i quali per cinque anni interi ha aspramente litigato. È sempre vera la considerazione che la politica è l’arte del possibile e che tutto può accadere di qui a fine marzo, quando presumibilmente, fissata la data, bisognerà che i partiti scelgano definitivamente i loro candidati. Ma che De Luca si tiri indietro per far posto a Costa o a chiunque altro appartiene, sinceramente, all’arte dell’impossibile. Se Il Pd nazionale volesse scegliersi un altro candidato De Luca correrebbe lo stesso, lo ha già fatto in passato a Salerno, con una lista civica, e vinse. A quel punto perderebbero tutti, inevitabilmente. E Zingaretti, pur con tutte le riserve che si possono nutrire sulla sua abilità strategica, un errore del genere non lo commetterebbe mai.