Il primo settembre la saracinesca non si è alzata. Stupore, rammarico. Tutti hanno capito. Nel pieno centro dell’Arenella una pasticceria storica, che da oltre cinquant’anni sfornava dolci prelibatissimi, ha chiuso i battenti. Per molti era un punto di riferimento quotidiano. Nei momenti di maggior fulgore la domenica mattina bisognava munirsi di numeretto, la folla si accalcava fuori del bar e attendeva ore pur di aggiudicarsi le flagranti delizie di quel pasticciere, che aveva rubato il mestiere da piccolo ai suoi familiari, lo aveva perfezionato ed aveva raggiunto un livello di assoluta preminenza nel settore. Lo conoscevano tutti e non solo nel quartiere. Le sue cassatine venivano a comprarle da tutta la città.
Quella saracinesca calata ancor oggi fa tanta tristezza. Ma, purtroppo, non è la sola. All’Arenella, come al Vomero, come in tutta la città. Il coronavirus ha provocato una vera e propria strage.
Il recente rapporto di Confesercenti Campania raffigura un quadro nerissimo. Quindicimila le aziende che non hanno più riaperto dopo il lockdown a Napoli.
Il settore più colpito è quello della moda e dell’abbigliamento, ma gli effetti si sono registrati pesantemente in tutti i comparti commerciali. Il dato sui saldi è particolarmente significativo: meno 61% rispetto al 2019, con una perdita di 160 milioni. Anche il quadro generale regionale è allarmante: su 500mila aziende che svolgono attività commerciale, ben quarantamila non hanno riaperto i battenti.
Di queste il 60% riguardano, come detto, l’abbigliamento, il 10% i bar, il 5% la ristorazione (la meno colpita dallo tsumani Covid). Il resto investe attività ricettizie, di servizi e altre tipologie al dettaglio.
Ma quel che è più grave è la previsione di qui alla fine del 2020. Secondo lo studio di Confesercenti altre quindicimila imprese sono a rischio chiusura, e di queste cinquemila nella sola città di Napoli.
Sempre secondo il report in un anno la spesa media per i saldi rispetto al 2019 è scesa del 58% in Campania e a Napoli addirittura del 61%. In soli dodici mesi sono stati bruciati 270 milioni di fatturato, 160 dei quali nella sola Napoli.
Anche Confcommercio parla di dati negativi, per non dire catastrofici. Per i pubblici esercizi la flessione è del 30% rispetto al 2019, con punte molto più alte nel campo dell’abbigliamento. E sono ancor ferme le filiere legate agli eventi e al comparto dell’oreficeria e dell’oggettistica. Queste gravi perdite non sono certo compensate da qualche nicchia in espansione, come quella legata all’e-commerce e legati alla cura della persona (estetisti, tatuatori): l’acquisto on line è passato dal 7% della media italiana al 30%. A Napoli ha coperto il 15 per cento del mercato delle vendite.
Questi i dati, che parlano chiaro. Ma il problema, che pur esiste, riguarda sì il passato e il presente, ma si prospetta particolarmente nebuloso per il futuro. La persistenza dell’epidemia, che sembra non voler regredire (ed ora si teme un ulteriore rimbalzo dei contagi dopo la riapertura delle scuole), induce a nerissime previsioni per il futuro. Nuove restrizioni, che sono sempre possibili sulla base dello sviluppo del contagio, potrebbero mettere definitivamente k.o interi settori del commercio.