Si sta sbriciolando il dipinto dedicato al giornalista ucciso dalla camorra sotto casa al Vomero nel 1985
Sono ormai quattro anni che in via Romaniello, al Vomero, ad un tiro di schioppo da piazza Leonardo, un muro è stato dipinto da due artisti di strada. Lì, proprio lì, trentacinque anni fa Giancarlo Siani veniva assassinato brutalmente. Abitava con i genitori e con il fratello in quella strada. Quel muro ha visto tutto e su quel muro sono stati impressi immagini e scritti che ricordano il sacrificio del giovane cronista napoletano.
Ma il tempo passa, la manutenzione scarseggia e quei murales si stanno lentamente sgretolando, scalfiti delle intemperie e dall’umidità. Sono molte le crepe, le fessure, le parti di dipinto sbriciolate. Se non si interviene con prontezza e sollecitudine quei murales potrebbero subire danni irreparabili.
I dipinti furono realizzati dal duo Wally e Alitaa, gli Orticanoodles, come sono conosciuti nel giro della “street art”. A promuovere l’opera furono il fratello di Giancarlo, Paolo (oggi parlamentare), e “Inward, osservatorio sulla creatività urbana Fu la prima di una serie di graffiti dedicati alle vittime innocenti della malavita.
Quando il muro Siani fu inaugurato Paolo Siani espresse parole molti forti e suggestive: “Impressionante, bellissimo, è come se mio fratello tornasse a vivere dove è stato per 26 anni. Questo muro che sa e ha visto tutto, non raccontava niente fino a qualche giorno fa. Ora prende vita e restituisce a Giancarlo quello che gli è stato tolto”. “È stato un lavoro intenso – commentò lo street artist Wally – il progetto è molto sentito dalla città, alcuni hanno pianto”. Giancarlo Siani, che da pochi mesi era stato trasferito alla redazione del Mattino di via Chiatamone, dopo aver lavorato come corrispondente da Torre Annunziata, aveva 26 anni quando venne ucciso. L’agguato avvenne il 23 settembre 1985 intorno alle 21, di lunedì. Tornato a casa dalla redazione, parcheggiò l’auto. I killer sapevano dove trovarlo, erano lì da ore. Gli esplosero contro otto proiettili. Il processo, con una sentenza passata in giudicato nel 2000, stabilì fossero uomini del clan Nuvoletta.