Stamattina un gruppo di attiviste del gruppo “non una di meno” ha manifestato nei pressi del Palazzetto Urban sede centrale del Centro anti violenza del Comune contro la presunta chiusura del Centro.
“Oggi 8 marzo abbiamo deciso di occupare simbolicamente il centro antiviolenza del comune di Napoli a palazzetto Urban, in pieno centro storico” si legge in un post pubblicato da gruppo su Facebook.
“Da luglio – prosegue – il CAV della città di Napoli non risponde nemmeno al telefono. Fino a Dicembre l’amministrazione non aveva rinnovato l’appalto per la gestione dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza domestica e delle case rifugio. Inoltre, nonostante la Convenzione di Istanbul raccomandi un posto letto in casa rifugio ogni 10.000 abitanti, in Regione Campania ce ne sono solo 13, ognuna con 6 posti. Nella città di Napoli, con una popolazione di circa un milione di abitanti, esiste solo una casa rifugio. Gli sportelli antiviolenza attualmente attivi sono garantiti solo per l’impegno delle volontarie che, senza alcun tipo di riconoscimento istituzionale o retribuzione di sorta, sono da sempre attive nella lotta alla violenza maschile sulle donne nel nostro territorio.
Dall’inizio del 2021 sono dodici le donne uccise per mano di un uomo e, secondo i dati del numero nazionale antiviolenza 1522, le richieste di aiuto sono aumentate del 119% dall’inizio della pandemia. Sappiamo che gli aguzzini hanno le chiavi di casa, le stesse case in cui ci obbligheranno a rimanere durante questa ennesima zona rossa, mentre i centri antiviolenza restano chiusi e i centralini restano inattivi.
È inaccettabile che mentre veniamo picchiate, violentate, uccise, non solo rimaniamo invisibili agli occhi delle istituzioni ma assistiamo ad una becera strumentalizzazione della violenza sulle donne per fini elettorali.
Non ci servono ulteriori panchine rosse per ricordarci quante di noi sono state uccise, ci servono i centri antiviolenza aperti, funzionanti e femministi. Ma, soprattutto, FINANZIATI.
Il 12 FEBBRAIO è SCADUTO l’avviso pubblico del comune di Napoli per la realizzazione di un centro antiviolenza che avrà sede a montecalvario presso il palazzetto urban. Il comune di Napoli ha messo a disposizione centosedici mila euro per un unico centro -in una città che conta quasi un milione di abitanti-antiviolenza per la durata di soli 6 mesi.
Al momento non si è ancora costutita neanche la commissione di valutazione delle proposte dunque da luglio ad oggi a napoli non c’è un cav perchè siamo in attesa che il comune assegni l’appalto. Non è possibile pensare di finanziare un cav solo per sei mesi, perchè per un servizio necessario soprattutto in questa fase storica in cui la pandemia ha acuito la violenza sulle donne, le istituzioni devono lavorare affinchè i cav siano considerati servizio pubblico essenziale, che abbiano finanziamenti a lungo termine e sedi in diversi spazi della nostra città.
Costruiamo reti di supporto e pratichiamo sorellanza, i centri antiviolenza sono necessari per garantire percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Pretendiamo – conclude il post – che il CAV del comune di Napoli riattivi immediatamente i servizi!”
“Abbiamo spiegato loro – replica l’assessore Menna – che non solo il telefono è invece attivo e che solo a causa della pandemia c’è stato un ritardo dell’acquisizione dei fondi regionali da cui è dipeso un rallentamento di tutte le procedure per l’assegnazione del servizio. In questo momento stiamo nominando la commissione che dovrà esaminare le domande e procedere all’assegnazione. Purtroppo anche al gruppo che ha manifestato manca un’informazione fondamentale, quella del ruolo degli Enti Locali nei finanziamenti per l’erogazione dei servizi. Il Comune è solo il punto terminale di una filiera ricevendo i fondi dalla Regione, per cui un qualsiasi ritardo nell’ erogazione del servizio collegato all’assenza di fondi, dipende dal rallentamento della filiera stessa. Sarebbe opportuno, quindi per sensibilizzare, come si dovrebbe, l’opinione pubblica e le Istituzioni stesse sull’importanza dell’erogazione di un servizio fondamentale come quello dei centri anti violenza, che si dirigesse la protesta nella giusta direzione per ottenere con maggiore certezza quanto giustamente viene richiesto – conclude la Menna”.
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