Presentato il giorno 7 novembre il rapporto Svimez 2017 sui dati economici del Sud è stato puntualmente ignorato dai media italiani. La prima notizia che balzerebbe nell’immediato è che il Sud parrebbe uscire dalla crisi stagnante, facendolo a piccoli passi e in maniera più significativa rispetto al Centro-Nord. E che, se dovesse proseguire quest’inversione di tendenza che oramai gli appartiene da un triennio, arriverà nel 2025 ai valori di pre-crisi. Fine delle buone notizie. Nonostante gli incrementi negli investimenti, nelle infrastrutture, nei prodotti dell’industria, nonostante si registri un trend positivo nel turismo e nell’accoglienza è tutto inutile al Sud, incapace e reso incapace di affrontare le emergenze sociali vuoi per il profondo gap infrastrutturale vuoi, soprattutto (nonostante i falsi proclami di un Nord agguerrito), per le disparità di politiche governative che al Sud volutamente sono sempre insufficienti ed ambigue. Le ripartizioni territoriali appaiono applicate sempre con criteri “scriteriati”. Un esempio tra tutti, attualità di questi giorni, nel campo della scuola dall’infanzia e delle Università assistiamo all’ennesimo sfregio: la ripartizione di 200mila euro di fondi stanziati per la messa in sicurezza e ristrutturazione di asili vede sempre privilegiato il Nord che per ogni bambino vedrà assegnato il doppio della somma destinata ad un infante campano. L’argomento Università vede vittima il Sud di analoghe ed assurde discriminazioni: l’aumento delle tasse universitarie , negli ultimi dieci anni, anch’esso sproporzionato territorialmente: al Nord del 43%, al Centro del 56% e al Sud il 90%. Un danno economico unito ad una beffa che ha il sapore di farsa se consideriamo che circa 200mila laureati (su un totale di 500mila di diversa cultura e professionalità), dal 2002 al 2015, sono emigrati quasi interamente nel Centro Nord. Questa emigrazione selettiva spropositata se la moltiplicassimo per il costo sostenuto per portare a termine un percorso universitario, ha portato ad una perdita finanziaria per il Sud di circa 30 miliardi, totalmente a vantaggio del Centro Nord, ai quali si aggiungono i servizi connessi, in primis le famose “ rimesse alla rovescia” che le famiglie meridionali spesso sostengono per il costo della vita dei loro figli che non riescono a far fronte alle spese maggiori che devono affrontare. Ma la gravità di questo “depauperamento del capitale meridionale” si evince dall’effetto indiretto che il Centro Nord acquisisce col trasferimento di forza lavoro qualificata, produttiva e competitiva. Al Sud gli italiani dicono che il lavoro sia aumentato: 90 mila posti di lavoro nei primi mesi del 2017, ma produci benessere ostipendi dignitosi col Jobs act? Senza tener conto poi che alla fine di questa illusoria campagna di bonus e sgravi per chi assume, resta certo il dato del tasso di disoccupazione più alto in Europa. Non facciamo figli, invecchiamo sempre più e ci curiamo sempre meno per colpa di sostanziosi e spregiudicati tagli alla Sanità. Un meridionale su 3 è a rischio povertà. 10 su 100 sono già nella condizione di povertà assoluta (contro i 6 su 100 di quelli al centro Nord). Nel 2065 per l’Istat il Sud perderà 5 milioni di abitanti. La spesa corrente procapite, anche al netto della Previdenza, al Sud è di oltre venti punti inferiore e questo mentre si attende con rabbia l’aumento dell’aliquota Iva, al primo gennaio 2019, che avrà un impatto maggiormente negativo al Mezzogiorno. I consumi delle famiglie riprendono in tutta Italia meno che al Sud. Ma quest’ultimo dato appare interessante in quanto il governo, sicuramente, attuerà delle misure per avvantaggiarlo, non fosse altro per aiutare i produttori del Nord considerato che nella maggior parte della spesa e dei consumi del meridionale vengono avvantaggiate e favorite le grandi aziende del Nord. Quest’ultima analisi ci induce a pensare, sempre più, che se il Sud avesse coscienza di sé ed applicasse l’autoconsumo come modello economico protezionistico, il sistema Italia basato sulla domanda interna del Sud, data dalla somma di consumi e investimenti, che attiva circa il 14% del PIL, fallirebbe più velocemente di ora, altro che referendum sull’autonomia. Secondo le stime Svimez, per ogni 10 euro che affluiscono al Sud sotto forma di residui fiscali, 4 tornano immediatamente al Centro-Nord sotto forma di domanda di beni e servizi. Le risorse che affluiscono al Sud contribuiscono comunque a sostenere un’area di produzione e di consumo ancora rilevante per l’economia dell’intero Paese e di cui dunque beneficia beneficia anche il Nord. E quindi, parafrasando la famosa frase di Medea, nella tragedia omonima di Seneca: “Cui prodestscelus, isfecit”, “colui al quale il crimine porta vantaggi, egli l’ha compiuto”, il Nord, ancora una volta è l’assassino del Sud.
È del Sud il 14% della ricchezza del Nord
Perché non ripensare all’autoconsumo?