Home Calcio Napoli Dammi tre parole: focus sulla settimana azzurra in tre definizioni

Dammi tre parole: focus sulla settimana azzurra in tre definizioni

Devo confessare che comincia a preoccuparmi seriamente il fatto che il tasso di leggerezza della vita quotidiana sia così tanto influenzato dalle vicissitudini della nostra squadra del cuore. Non ne avevo avuto completamente contezza come quest’anno. Mi sono infatti reso conto improvvisamente che la quota/parte di influsso delle partite del Napoli sull’umore di fondo, è decisamente più alta di quanto la decenza dovrebbe imporre, perché parliamo pur sempre ‘e pallone.

 

SIRINGA: siamo ospiti di una testata giornalistica, quindi dobbiamo sapientemente mixare aplomb, savoir faire, etiquette e bon ton. Ma il direttore e i giornalisti veri che scrivono su queste pagine ci perdoneranno senz’altro un AJJAHAWAAAAYAAAHAHAHAWAWAAAAJJJAAAAAAAA. Vogliamo negare che fare il mazzo alla Juve abbia un sapore diverso da qualsiasi altra vittoria? Qui dobbiamo accuratamente evitare di esternare il disprezzo profondo che nutriamo per questa squadra. Non va mai né detto né sottinteso che l’alea di scorrettezza e di nefandezza conclamata da sentenze di tribunali varie ci fa nutrire per questa compagine una sincera e viscerale repulsione, che peraltro non abbiamo per nessun altra squadra, anche altrettanto vincente, come l’Inter o il Milan. Quindi non lo diremo. Diremo soltanto quanto impagabile sia vedere il ghigno pregno di devastazione disagiata di Max ed il suo smottamento intestinale dissimulato dalla pacatezza del tono di voce, ancorché stridulo e cacofonico, delle interviste post partita. Potremo aggiungere che abbiamo amato ogni frazione di secondo in cui le conclusioni a rete del “predestinato” si sono accomodate rispettivamente al lato sul colpo di testa a due metri dalla porta, sul palo con lo scavetto, a fil di traversa sul cagatone cosmico di Traoré, in bocca a Meret sull’assist verticale di Miretti. Per non tacere infine del colorito blu di Prussia del DS transfugo che ha visto la sua squadra del cuore prendere il siringone dalla squadra che l’ha fatto uomo.

Tutto questo catartico godimento può essere riassunto dall’immagine di DeLa che fa rimbalzare il suo culone presidenziale sulla poltroncina della tribuna autorità, al coro di “chi non salta juventino è…”

 

PRESIDENTE: già, il Presidente. Non ci addentreremo nella solita diatriba tra chi lo esalta e chi lo distrugge, ma ci piace sottolineare che la scorrettezza di certa stampa non può non essere in qualche modo ricambiata e ADL sa meglio di chiunque altro come fare. Il silenzio stampa “personalizzato”, a questo giro con DAZN che programma le partite con criteri indecenti ma in passato, a turno, utilizzato anche con altre testate, resta l’unico strumento a disposizione delle squadre di calcio e delle società che le governano, per tentare di correggere certe nefandezze e sottolineare che al tavolo dell’assegnazione dei diritti televisivi i primi a doversi sedere sono i presidenti di club. Non federazioni e leghe gestiti con criteri che hanno a che fare con tutto tranne che con il business del calcio. Sì, perché il calcio è un business e l’inutilità di dover fare questa affermazione più che ovvia, si piega puntualmente alla necessità di dover far “campare” dei burocrati politicizzati che devono decidere come spartirsi quel pasticciotto da diversi miliardi di euro che è il mondo del calcio professionistico in Italia.

Quanto al capitolo “conferenze stampa” ridotte al minimo, come dargli torto? Lo spiegò benissimo qualche settimana fa il Direttore della Comunicazione Lombardo: si giocano quasi sessanta partite l’anno, se si fanno due conferenze stampa a partita, una prima e una dopo, significa 120 conferenze stampa. A cosa cazzo possono mai servire 120 conferenze stampa all’anno? Taglio netto del 50% in un colpo solo, magari con la metà delle occasioni migliorerà anche la qualità delle domande poste.

 

SVOLTA: quanto si è sofferto quest’anno nel vedere spappolarsi come budino ogni velleità di autorevolezza imperitura che contavamo di avere acquisito con la prova di forza spallettiana. Come più volte ribadito, abbiamo la certezza che questa metà abbondante di stagione sia stata un (quasi) inevitabile incidente di percorso dovuto alla più classica delle crisi di appagamento, condita dalla disgraziatissima scelta di due allenatori totalmente incapaci di trovare una cura a questo unico sintomo, che ha trasformato un fiore meraviglioso concimato con cura per un paio di decenni, in una carcioffola fracita. I facili entusiasmi vanno lasciati ai poveri di spirito, gli stessi che, per esempio, hanno augurato a Juan Jesus di morire in modo atroce per un errore nella partita di Cagliari. A questa gente serve il disagio per avere uno scopo nella vita. Per loro la vittoria con la Juve è sinonimo di qualificazione certa in Champions perché sono drogati di tossine marce e quindi devono poter fare esplodere la loro rabbia feroce quando questa improbabile evenienza diventerà impossibile. Per tutti gli altri, la vittoria di ieri è solo un ottimo segnale, oltre che la conferma che Garcia e Mazzarri siano stati una sciagura e che bastava uno poco più che capace e con la giusta dotazione di testicoli per far rimettere il giuoco del calcio al centro del progetto e far rivestire con abiti da adulti i ragazzini viziati che vagavano per i prati in cerca di un’idea. Gli obiettivi seri sono rimandati al prossimo anno, ma almeno mettere il culo sulla poltrona di casa o sulla poltroncina dello stadio per guardare una partita del Napoli è tornato ad essere un buon modo per dimenticare per un paio d’ore i cazzi ballerini che nel resto del tempo danzano al ritmo di boogaloo nel nostro sedere

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