Home Calcio Napoli Spalletti va capito. Ma Giuntoli proprio no

Spalletti va capito. Ma Giuntoli proprio no

Della serie “come rovinare tutto in poche mosse”. Sta andando in scena, a Napoli, il teatro dell’assurdo. Non è ancora finito il campionato che ha regalato al Napoli il terzo scudetto della storia e già “volano gli stracci”. Giuntoli e Spalletti, da tutti indicati come gli artefici del successo, sono entrambi in bilico, il primo ammaliato dalle sirene piemontesi, il secondo indispettito dal rinnovo unilaterale e automatico del contratto che De Laurentiis, stando peraltro ai patti, gli ha comunicato via pec.
Queste incertezze minano fortemente la programmazione per il futuro. Il Napoli campione è chiamato ad organizzarsi da subito, deve praticare il prossimo mercato con grande avvedutezza, non solo per onorare gli auspici che intravedono in questa vittoria solo l’avvio di un ciclo favorevole, ma anche per cercare di migliorare le sue potenzialità, soprattutto in chiave europea. E con Giuntoli e Spalletti in bilico non si può programmare proprio nulla.
Ma, tanto per essere chiari, la posizione di incertezza dei due non può essere giustificata allo stesso modo.
Prendiamo Spalletti. Ci sono varie motivazioni che in fondo, possono far comprendere le sue perplessità. La prima è di carattere generale: non sarebbe il primo allenatore che, una volta raggiunto il massimo successo, comincia a nutrire dubbi sulla possibilità di ripetersi e quindi comincia anche a valutare se è opportuno o meno insistere sulla stessa piazza. Sono in tanti, tra i commentatori, a suggerirgli di cambiare aria, lasciando da vincitore.
A questa incertezza di base si aggiunge poi la consapevolezza del rischio di poter perdere almeno due dei grandi protagonisti di quest’anno, Osimhen e Kim, senza valutare le possibili partenze di Zielinski, Lozano e persino di Kvarastskelia. E con un direttore sportivo in bilico Spalletti non sa se, in caso di fuga generalizzata dei protagonisti, De Laurentiis sarà poi in grado di trovare sul mercato ricambi altrettanto validi.
A tutto ciò si aggiunge lo sgarbo della pec. Il solito De Laurentiis che, pur avendo ridimensionato in questi ultimi tempi le sue spigolosità, non riesce fino in fondo a capire che le regole e i patti vanno sì rispettati, ma che non gli sarebbe costato nulla parlarne pacificamente prima con la controparte, senza necessità di avvalersi di una fredda e burocratica pec per utilizzare un diritto che gli derivava dal contratto stipulato e sottoscritto dal suo allenatore.
E veniamo invece a Giuntoli. Otto anni nella stessa “parrocchia”, è vero, sono troppi. Ma sono stati otto anni tutti di luci? Niente affatto. Ci sono state, invece, anche molte ombre. Diciamo che i primi anni sono trascorsi nell’anonimato più assoluto. A Napoli nessuno lo aveva sentito mai parlare, non era stato presentato, navigava al buio. E poi gli acquisti da lui ispirati, per la maggior parte, si erano rivelati poco utili alla causa. Solo con l’ultimo mercato è esploso veramente Giuntoli. E i suoi meriti sono stati abbondantemente riconosciuti. Ma basta un anno di gloria per dimenticare tutto il resto? E’ non è una specie di “tradimento” abbandonare la società e il presidente che lo hanno preso da manager di provincia sconosciuto e gli hanno consentito di diventare, nel campo, l’attuale numero 1 in Italia? Ai limiti dell’ingratitudine.
Ma c’è un’altra considerazione, forse la più incisiva, che pesa come un macigno sulla scelta (se verrà confermata) di Giuntoli di voler andare alla Juve: per tutto quest’anno ha lavorato ed è stato pagato da De Laurentiis. Ed ora che fa? Il lavoro preventivo fatto per il Napoli lo va a utilizzare a favore della Juventus? I nuovi Kim e Kvaratskelia li proporrà ad Elkan? Certo nessuno gli può negare di voler cambiare società. Ma avesse per lo meno il buon gusto di chiedere la rescissione del contratto dopo l’1 settembre, quando il mercato sarà chiuso e lui avrà lavorato, proficuamente, (diomostrandolo) per il “padrone” che finora lo ha pagato sempre tempestivamente e gli ha consentito di poter ambire alla Juventus. Che non è poi la Juventus dei tempi che furono. Rischierebbe, insieme alla sua nuova società, di ridiventare un manager di serie B. Ma questi son fatti suoi.
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