L’analisi. Il Napoli è impreciso e non ha una variante al tiki taka sarriano: così la Juve scappa via
Passo falso fuori programma. Una fermata in una stazione di periferia. Che potrebbe essere l’addio ai sogni di gloria, visto il successo tribolato ma largo della Juve sul Milan. Azzurri impacciati. Stranamente sterili. E confusionari. La maledizione delle soste, d’accordo. Ma vorrebbe dire non tener conto della realtà. Non c’è stato un reparto che abbia funzionato. Squadra irriconoscibile. Folletti d’attacco senza mira. Centrocampisti messi sotto dal reparto mediano del Sassuolo. Sensi è apparso il clone di Matthaeus. Difesa allegra e pasticciona. I due centrali imbambolati. Sull’azione che ha portato al gol di Politano (sarebbe servito, eccome) e in altre circostanze.
Koulibaly s’è beccato perfino un tunnel da Ragusa. Il colmo. È come se gli azzurri non avessero più forza nelle gambe e nella testa. È come se avessero dimenticato i principi del loro caratteristico gioco euclideo. Linea su linea, senza variazioni al tema. Tourbillon – si fa per dire – in avanti ma senza reale costrutto. Diverse conclusioni sballate a tu per tu con Consigli, d’accordo. Di solito la precisione è figlia della serenità. C’è da chiedersi perché stia cominciando a mancare. Forse perché ci si è resi conto che l’unico sogno rimasto non è poi tanto semplice da trasformare in realtà. Che mettersi davanti un solo obiettivo può essere stato un’arma a doppio taglio. La frenata della Juve in quel di Ferrara avrebbe dovuto avere il potere di centuplicare le forze. E insegnare anche che sui campi cosiddetti di provincia, affrontando squadre in lotta per la salvezza, ci si può anche scottare. Non è questo il tempo di scansarsi. Ammesso e non concesso che esista l’autolesionismo nel calcio e nello sport in generale.
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Resto della convinzione che Sarri debba trovare una variante al suo tiki taka triangolare. Quale, non spetta a me dirlo. Ci mancherebbe. Una cosa è piuttosto evidente, però. La manovra azzurra è sin troppo definita. Bella a vedersi quasi sempre. Alcune volte, però, monocorde. E quando trovi avversari che ne limitano le fonti di gioco, son problemi. A volte bastano un Chievo o un Sassuolo a farti smarrire la retta via. C’entra anche, eccome, la fissa degli undici titolari più tre. La panchina corta, d’accordo. Ma non è che zio Maurizio sia portato a troppe variazioni sul tema. Al contrario di Allegri che cuce ogni volta un vestito diverso per la sua dama (e la chiamano vecchia signora), magari sbagliando il primo “taglio”. Poi, se ne avvede e crea le premesse per sedurre gli invitati al gran ballo. Magari, zio Maurizio obietterà: datemi la stoffa di cui dispone il conte Max e vi faccio vedere io. Vero, ma la fissa per la formula immutabile credo che gli appartenga nel dna. La nota positiva è venuta dallo spartito suonato a metà opera da Milik. Ogni buon polacco ha dentro di sé amore per la musica. Ha fatto più Arkadius in meno di mezzora che tutti i suoi colleghi d’attacco messi insieme. A riprova che vanno bene i folletti, ma che quando sono stanchi o svagati vanno messi un po’ da parte. Specie contro difese chiuse a riccio. Milik può essere l’arma in più per il gran finale, le otto tappe che restano fino alla chiusura dei battenti. Aritmeticamente tutto è ancora in ballo. Ma occorrerà capire (compito che spetta a Sarri, naturalmente) quali potrebbero essere gli accorgimenti da adottare. Compreso l’accantonamento momentaneo di qualcuno degli intoccabili. A volte bisogna fare di necessità virtù. Per la causa maggiore. Per il bene comune. Non è detto che comunque vada sarà un successo. Per chiarirci le idee. E senza elucubrazioni.