La sconfitta contro il Milan, a mio sommesso avviso, conferma solo un preciso dato emerso già chiaramente nelle passate stagioni ma che è stato sempre poco considerato da allenatori come Benitez, Sarri e soprattutto Ancelotti: il Napoli, al di là degli indubbi valori tecnici, non ha quella “fame” di vittoria che contraddistingue giocatori e club di appartenenza come Ronaldo, Ibrahimovic, Lukaku, rendendoli dei veri trascinatori. Nel Napoli questo tipo di giocatore manca e per quanto ci abbiano provato i tre allenatori di cui sopra, la fame di vittoria non si è mai riuscita a farla diventare patrimonio genetico e caratteriale della squadra. Benitez, Sarri e Ancelotti, con lo spagnolo che ha dato la prima vera impronta di internazionalità al club e alla squadra, hanno sempre fidato sulle qualità tecniche dei singoli e con esse ritenevano di poter ottenere grandi risultati senza tener conto, però, della tenuta e delle attitudini mentali della squadra. Benitez, quando capì certe situazioni e chiese a De Laurentiis un leader in campo, comprese pure che un progetto De Laurentiis per vincere sul campo non esisteva e la sua seconda stagione fu un’alternarsi di delusioni e partite perse malamente dopo l’eliminazione al preliminare di Champions a Bilbao. Sarri, venendo dalla gavetta, aveva (ha) un rapporto con il calcio ossessionante che gli ha consentito di formare un gruppo compatto e creare pure la “grande bellezza”, però fine a se stessa, perché il suo Napoli è stato in grado di vincere niente soprattutto per gli improvvisi vuoti mentali… alberghieri.
Il buon Carletto, infine, che ha sempre avuto un rapporto globale con il calcio e i giocatori meno ossessivo del suo predecessore, s’è fidato e affidato fin troppo al suo carisma accoppiato alle qualità tecniche degli uomini a disposizione per credere ad una crescita di personalità e di maturità che non c’è stata e che gli è costata il “fallimento” napoletano, per noi presunto, viste le due Champions disputate ad ottimi livelli. Gattuso, perciò, faccia tesoro di questi troppi passaggi a vuoto della squadra e nel confronto con i giocatori e con il club ponga in modo deciso la questione già vista e vissuta del passato più o meno recente ai suoi predecessori: dove dobbiamo e vogliamo arrivare, quali sono gli obiettivi, quali programmi abbiamo come squadra e come società, per ottenerli? L’altalena di prestazioni e risultati, grandi prestazioni di singoli e del gruppo alternate a distrazioni individuali e collettive, oggi, come e più di ieri, sono prove di una immaturità e di carente personalità, oggi inaccettabili. Figlie, a nostro sommesso dire, di una società che a differenza di club come Juventus, Inter, ora il Milan e forse la nuova Roma, che hanno come obiettivo ambizioso vincere, non ha mai puntato ad essere o a diventare protagonista sul rettangolo verde quanto piuttosto a politica economica. Gattuso, perciò, sta pagando anche questa mancata pressione della società verso i giocatori per quella fame di vittoria che non è mai stata il vero obiettivo del club a cui, evidentemente, basta la partecipazione alla Champions League per le sue “vittorie” economiche.
Gattuso, quindi, vada avanti senza tener conto di qualche gerarchia vecchia e consolidata per dare nuova tensione e maggiore vigore e tenuta agonistica ad una squadra che, quando c’è da lottare, improvvisamente “si siede”, perché convinta, sbagliando, di poter ottenere il risultato con le sole abilità tecniche, senza rendersi conto dei limiti strutturali che ha e che solo la feroce cattiveria agonistica può annullare. Perché se a centrocampo manca l’uomo in grado di pensare e creare gioco velocemente per mandare in confusione le organizzate difese avversarie, il leader che una squadra da scudetto deve pretendere, tocca allora al gruppo sopperire in altro modo. Il Milan, con l’Ibrahimovic furioso e affamato del San Paolo, ha messo ancora una volta a nudo gli atteggiamenti sbagliati del gruppo ma anche quelli, involontari, di un Gattuso che crede troppo in scelte fideistiche con alcuni intoccabili. La situazione non è grave, sia chiaro, non ancora almeno, ma è da prendere seriamente. Non tanto per le tre sconfitte interne, ma per il modo e il momento in cui sono maturate. La vetta della classifica è ancora a sole sei lunghezze, l’Europa League è nelle mani e nella testa degli azzurri. Questo Napoli deve avere adesso la voglia, la concentrazione, la fame di tenere duro fino al 23 dicembre. Tocca a Gattuso dargliele, con il bastone o con la carota. Perché noi siamo con il tecnico visto che in campo la fame di vittoria la fanno soprattutto la testa e le gambe dei giocatori.