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Arek Milik | Napoli-Chievo 2-1 | 8 Aprile 2018

Napoli Chievo. Un romanzo d’avventura e di colpi maligni

Rocambole non avrebbe potuto fare di meglio. Un romanzo d’avventura e di colpi maligni. Compresi i fischi ingenerosi a Lorenzo il Magnifico che ha zittito tutti col segno dell’indice sulla punta del naso. Un altro al suo posto avrebbe mandato i contestatori a quel paese, un pomeriggio non tanto all’improvviso. Il migliore in campo per tutto il match il genietto di Frattamaggiore. Altro che storie. Decisivo in quasi tutti gli sprint e nel pallone d’oro per Milik, il polacco azzurro che potrebbe essere l’uomo in più, l’acquisto doc che a gennaio non fu compiuto. Sempreché Sarri se ne accorga. E che decida di far respirare Mertens.

Un po’ d’aria buona potrebbe fargli solo del bene. Perché se Dries lo scugnizzo s’affloscia pure dal dischetto, allora vuol dire che è nella fase di precottura. Caldo a parte. Perché i rigori sì, ma poi li devi sempre realizzare. Sugli arbitri la penso come il buon Boskov che asseriva: rigore c’è quando arbitro fischia. Va bene. Ma avrebbe potuto dire anche: ammonizione c’è quando arbitro ti mostra il cartellino giallo. E il prode Depaoli sarebbe andato anzitempo sotto la doccia. Diciamo che Manganiello non ha voluto usare il manganello (e facciamoci pure una risata). La premessa era d’obbligo ma ciò non esime dal considerare la prova (nella sua globalità) degli azzurri come la più grigia di questo campionato.

Eppure, anche all’andata di Napoli Chievo, i figliocci di Giulietta sponda clivense avevano messo sull’avviso: contro di noi i triangoli no. Un po’ alla Renato Zero. Squadra a lunghi tratti irriconoscibile. Per qualità del gioco (i troppi complimenti forse hanno fatto male) e per mollezza di garretti. A parte Insigne, Milik, Diawara e Zielinski. Poi c’è l’ardore. Quello sì non manca mai. Ed è l’autentica forza della squadra. Che non si arrende mai. Che vuole essere protagonista del proprio destino. Che vuole cullare quel sogno che è un triangolo (ma guarda un po’) fino a quando le leggi dell’aritmetica non diranno che è finita. Non c’è più nulla da fare. Finché ci sarà un Lorenzo (che per me resta Magnifico) che ti pennellerà un coriandolo per la testa dell’unica torre che ci sia in azzurro. Non sappiamo se zio Maurizio giochi a scacchi.

Comunque, sappia che le torri sono spesso decisive nei finali. E non solo sul terreno delle sessantaquattro caselle benedette da Caissa. E benedetto fu Arkadius che rispose a Mariusz (Stepinski) esperti di sinfonie, alla Chopin. E va bene (anzi no) che il polacchino segaligno aveva suonato la sua sinfonia grazie alle stecche di Koulibaly e Tonelli e pure di Mario Rui (non ci sarà il portoghese contro il Milan, diffidato è stato ammonito). Però, che stecca ‘sto Stepinski nazionale del suo Paese. Non poteva restare insensibile al richiamo della musica il nostro Arkadius. Lo spartito era davanti al direttore d’orchestra (Lorenzinho) che ha inviato una nota filante. E allora il violinista azzurro ha ringraziato ed ha fatto vibrare l’archetto laddove non era udibile per il pur desto Sorrentino, pipelet napoletano.

Il gran finale di Napoli Chievo è stato tutto di Diawara che ha il volto del ragazzino sveglio e due piedi che non conoscono le dolenze delle marce forzate. Primo gol del gioiellino della Guinea. Un destro a giro di rara bellezza. Una stella filante che va a completare la costellazione della speranza che pareva irrimediabilmente perduta. Una storia infinita questo Napoli-Chievo. Una Pasqua bis. E la storia non ancora è finita. Credo che il conte Max avrà visto il match del San Paolo. E avrà gioito. Almeno fino a poco prima del quarantottesimo minuto. E poi, si sarà incazzato. Perché anche i livornesi, triglie o non triglie, nel loro piccolo si incazzano. Peccato. Insigne, Milik e Diawara gli hanno rovinato la gita a Madrid. Olé

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