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Il Milan di Gattuso frena la rincorsa

Il sogno s’infrange sul Pirellone

Milan – Napoli. Scudetto lontano: resta l’amaro in bocca per il finale di stagione in calo dopo il mercato nullo di gennaio

Forse è finito davanti al Pirellone e alla Madunina il sogno dello scudetto. Perché la Madama ha stravinto contro la Samp e ora il distacco è salito a 6 lunghezze. Dovendo gli azzurri (nell’infrasettimanale) incontrare l’Udinese e la Juve giocare a Crotone, è molto probabile che alla sfida diretta le più belle del reame arrivino con distacco immutato. Anche se in terra pitagorica è ostico il cammino. Il Milan di Gattuso non è semplice da affrontare. Perché ha grinta come Ringhio e alcune buone individualità.

Il problema era – ed è – che la banda sarriana ha smarrito la via della rete. Tre trasferte consecutive e zero vittorie, l’ultima a Cagliari. E senza gol, non si cantano messe. Certo, se ti capita la possibilità di vincere sul filo di lana e la stessa svanisce per congiuntura astrale, allora ti cadono le braccia. Mi piace affidarmi alle stelle (contrarie) per definire roba da altri cieli la paratissima di Donnarumma sul tiro di Milik a botta sicura da non più di cinque metri. Quei maledetti cinque metri a un passo dal cielo. Ho dato la sufficienza in pagella al polaccone. Se l’avesse messa dentro quella palla spizzatagli di testa da Insigne avrebbe meritato 10 e lode. Ma è andata com’è andata e non resta che mangiarsi le mani. Tocco e angolazione e il ragazzo gigante di Castellammare di Stabia s’è steso per quanto è lungo e ha deviato la sfera. Ci sarebbe voluta la legnata sotto la traversa.

Ma questo è il senno di poi. E intanto, Arkadiusz lì c’era e soltanto lui poteva esserci. Con il suo istinto di predatore d’area dal fisico possente. Storia antica. Non credo che chi è in grado di giocare quasi mezz’ora non possa esibirsi per un minutaggio maggiore. Quando la lotta si fa dura i duri entrano (devono entrare) in campo. Dispiace ripeterlo: Mertens, lo scugnizzo belga che ha il nome che è come un trillo di campanello, è da un po’ di tempo il fantasma di se stesso. Quando è l’ora in cui si deve osare non si devono avere debiti di riconoscenza. Il calcio, nella sua evoluzione tecnica ed emotiva, è spietato. Poi, certo, scopri anche che la coperta è dannatamente corta e che il risveglio è brusco. Squadra usurata? Non proprio. Comunque con i riflessi appannati. Questo sì. I titolarissimi stanno pagando dazio e Trump non c’entra. Eppure un dubbio mi sorge: caso strano perché il gioco (corto e trangolare) non è eccessivamente dispendioso. Misteri sarriani di preparazione.

E cos’altro vien da dire se vedi un Napoli non bello ma bellino sì mettere alle corde il Diavolo senza riuscire a spezzargli le corna? La differenza, nei finali di campionato, la fanno le cosiddette rose. Che ricordano il mese di cui un azzurro porta il nome. Maggio sei tu. Atleta esemplare ma con troppe primavere. Lascio al paziente lettore la soluzione del quiz. Con amarezza infinita. Perché se vedi che il Benevento a gennaio compra e compra e compra. E una società come il Napoli risparmia, risparmia e risparmia, allora un gran pezzo della storia infinita – che probabilmente è finita – lo puoi anche ricondurre al braccino corto di qualcuno. Vigorito ha rinvigorito il suo Benevento. Aurelio Primo s’è beato delle belle parole e dei complimenti che l’Europa ha speso per la sua creatura. Ma a Napoli c’è un detto: chiacchiere ‘e tabacchere ‘e legno ‘o Banco ‘e Napule nun è ‘mpegna. Okay. E ora sotto con l’Udinese confidando che il Crotone faccia la Spal E poi e poi…

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