L’analisi. Il Mondiale conferma che ad avere la meglio sono le formazioni bene organizzate: non basta il talento
Adesso che siamo fuori da questo mondiale russo tutto sembra molto meno drammatico per il calcio italiano rispetto a pochi mesi fa. Le voci sulla crisi irreversibile e sulla inconsistenza internazionale del nostro movimento, le critiche a Ventura e ai nostri giocatori accusati di essere viziati e senza attributi, si sono improvvisamente affievolite dopo aver visto le prime e non certo irresistibili performance di Argentina, Brasile, Germania, date per favoritissime della manifestazione mondiale. Addirittutra c’è chi sostiene che la “nuova” Italia targata Roberto Mancini, sulle ali dell’entusiasmo e con la voglia dimostrate nelle prime tre esibizioni, non avrebbe sfigurato del tutto.
Non posso essere del tutto d’accordo perché il nostro movimento ha necessità di riforme profonde ed urgenti, ma in verità, al momento in cui scrivo, pur essendo ancora presto per tranciare giudizi definitivi e decisivi, certe considerazioni si impongono in base alle sensazioni che le prime 24/25 partite hanno dato, senza andare a fare le “pulci” alle singole nazionali ma valutando globalmente il calcio sin qui visto. Il tutto senza avere la pretesa di essere “Cassazione” calcistica perché l’impressione, a parte il giudizio di netta insufficienza per l’Argentina (di Messi o di Sampaoli? ndr), è che le scommesse sulle big potrebbero prendere corpo con il passare delle partite, quando gli impegni si faranno più duri e quando lo spirito di gruppo e le capacità tecniche saranno lievitate a dodicesimo uomo. Le cose migliori, va detto, non si sono viste in campo ma sugli spalti dove il tifo ed il folclore la fanno da padroni assoluti. Sul terreno di gioco, invece, c’è davvero poco da divertirsi se non per i possibili e qualche volta riusciti colpi delle “piccole” nazionali contro big conclamate.
Niente di nuovo sul fronte tattico; anzi il paradosso è che in un mondiale privo dell’Italia, sia il cosidetto gioco all’italiana quello che sta “spopolando” in Russia. Difesa e contropiede – passatemi questi termini antichi a me cari – la fanno da padrone in tutte le formazioni meno dotate sul piano tecnico, regalando però loro la capacità di ribaltare il gioco con transizioni spesso letali (vedi Messico contro la Germania, Senegal contro la Polonia, Islanda contro l’Argentina). Non ho difficoltà a rivedere in talune squadre il Milan di Rocco (v.Islanda vs Argentina o la Svizzera vs Brasile), capace di chiudersi per 90’ davanti a Cudicini e partire in contropiede con Lodetti e Rivera per servire Altafini o Combin e, successivamente, Hambrin, Angelo Sormani e Pierino Prati, oppure la grande Inter di Helenio Herrera (v. Messico) che alla grande difesa composta da Picchi, Burgnich e Facchetti, rispondeva con i guizzi improvvisi e letali di Peirò, Jair, Mazzola e Domenghini sotto la sapiente regia di Suarez che in tre passaggi le consentivano di arrivare davanti la porta avversaria. C’è più di una spiegazione a questa mediocrità finora ben poco aurea. La globalizzazione in primis, che ha consentito ai tecnici ed ai giocatori delle nazioni più “povere” di talento di assistere in modo continuativo a partite dei campionati più formativi, quali Premier, Liga, Bundesliga ed il nostro, assorbendone gli aspetti tattici più evidenti, ma anche il fatto che i migliori giocatori dei Paesi calcisticamente meno evoluti sempre più spesso trovano ingaggio e spazio in detti campionati, migliorando non solo tecnicamente ma anche formando una mentalità competitiva e vincente rispetto al passato. Tutti fattori di crescita che nelle ultime edizioni hanno lentamente portato ad assottigliare ed in qualche caso ad annullare il gap tecnico che fino a 20 anni fa tra calcio europeo-sudamericano con quello afro-asiatico pareva incolmabile. In campo, pertanto, s’è finora visto un equilibrio, un’incertezza, spesso rotti solo da errori di singoli o da situazioni di gioco createsi all’improvviso, piuttosto che da una supremazia netta, decisa, di una formazione sull’altra.
E anche quando una squadra ha maggior predominio territoriale o possesso palla, va sottolineato come le chiusure difensive o le coperture sulle linee di passaggio avversarie da parte delle formazioni più deboli siano quasi sempre della massima attenzione e del massimo rigore tattico per esaltare compattezza e coesione del collettivo. Non ce ne vogliano Messi, Neymar o lo stesso Ronaldo, che finora è l’unica super star che sta mantenendo premesse e promesse della vigilia, ma sempre più nel calcio moderno si sente l’assenza di giocatori in grado di regalare il colpo magico, di spostare da soli l’ago della bilancia con un’invenzione, contribuendo a dare di questo mondiale l’immagine di squadre “operaie”, prive di estro ma che si contraddistinguono per atletismo e rigore tattico raggiunto. Ecco perché non escluderei possibili sorprese o rovelazioni. Possono sembrare banali coincidenze, ma possono essere anche tracce sensibili, orme curiose, di un discorso che alcuni allenatori da qualche anno stanno cercando portare avanti, privilegiando il gioco d’assieme, frutto di allenamenti ripetuti centinaia di volte, magari togliendo qualche spazio alla fantasia esaltando l’organizzazione e il collettivo. Vedremo il 15 luglio quale filosofia prevarrà. E per finire il discorso, portandoci sul Napoli, vedremo pure se Ancelotti rilancerà l’estro e la fantasia, non legando i giocatori a schemi prefabbricati, ridimensionando parzialmente il tema tattico e di gioco sviluppato da Sarri in tre stagioni. Ma qui, molto dipenderà dalla reale volontà di De Laurentiis di far “nascere” un Napoli magari meno spettacolare di quello della “Grande Bellezza” sarriana ma più concreto e vincente sotto la guida carismatica di Ancelotti. I giovani finora acquistati, di ottimo livello, sono un grande investimento per il futuro, ma Champions, Campionato e Coppa Italia vogliono giocatori prontissimi da subito perché la prossima stagione non ammette errori né nelle scelte di mercato né in campo.