Sembra trascorsa un’era geologica dalla partita infame con l’Empoli ed invece sono passate appena due settimane. La giornata di oggi ha messo in evidenza una verità drammatica che era evidentemente molto chiara a tanti e poco chiara a qualcuno, tra cui il sottoscritto. Garcia non ci aveva davvero capito una mazza. La confusione che ha regnato sovrana per mesi era davvero dovuta ad idee poco adatte alla rosa a disposizione e solo in parte di gran lunga minore alla sopraggiunta pigrizia da pancia piena che noi, difensori del tecnico per partito preso, abbiamo invece preso a metro di giudizio in più occasioni.
ORDINE. Bastava davvero un Mazzarri per ridare un minimo di criterio ai reparti e rimettere in confort zone i singoli. Lobotka non si è mai imboscato neanche sotto le grinfie del francese ed ha dato sempre il meglio di sé, benché proprio il francese volesse togliergli il ruolo di direttore d’orchestra per fargli suonare il triangolo in ultima fila. L’intenzione era quella di rendere meno prevedibile il gioco, depotenziando di fatto quello che probabilmente ha rappresentato, per la marcia trionfale dello scorso anno, l’uomo più importante dal punto di vista tattico. Mazzarri gli ha restituito la bacchetta e l’orchestra ha ricominciato a fare musica invece che bailamme.
MAZZARRI. Già… Mazzarri. Non ne sono mai stato estimatore benché abbia amato molto il suo Napoli. Non è una contraddizione, si stava uscendo da anni di oblio. Solo chi aveva vissuto il Napoli di Maradona poteva comprendere il tasso di depressione da cui ci si stava liberando. In quella squadra c’erano dei fuoriclasse della madonna. Gente come Cavani e Lavezzi che sono stati poi riconosciuti come due tra gli attaccanti più forti del mondo per oltre un lustro. C’era quell’Hamsik che ha sacrificato il suo palmares per restare in una città che ha amato fin troppo. Uno che se avesse fatto la stessa scelta dei primi due, probabilmente se la sarebbe andata a giocare con gente come De Bruyne e Gerrard. Il resto della squadra, salvo poche pippe impudenti, manteneva un buon livello. Tolta la Juventus che aveva appena iniziato il ciclo di nove campionati vinti e della quale (al netto dei come e dei perché più o meno da ufficio inchieste da caricare su quella sequenza vincente) era nettissimamente inferiore. La concorrenza di allora per la piazza d’onore era piuttosto mediocre anche nelle squadre più titolate. La dimostrazione che la sua influenza fosse abbastanza ridotta e che molto dipendesse dai calciatori si è palesata nell’esperienza all’Inter dove ha rimediato un pessimo quinto posto ed un esonero a metà della seconda stagione. Da lì ha iniziato la lunga sequela di defenestrazioni che lo hanno portato a questo nuovo ruolo di tappabuchi nella stagione 23/24. Le due buone notizie per lui sono: 1) che il materiale umano che ha a disposizione oggi è veramente di un livello enorme, di quelli che mai si sarebbe sognato di poter gestire nel finale (o forse nell’intero arco) della sua carriera e 2) che per non riuscire a migliorare il disastro tecnico di Garcia si deve essere veramente scarsi e lui non lo è, pur non essendo un top manager. Il suo approccio con i calciatori è stato buono, mostrandosi come un buon padre di famiglia e parlando con ciascuno di loro, motivandoli nel giusto modo. Il suo approccio comunicativo invece è stato pietoso: tra interviste e conferenze stampa è stato un continuo tentare di rimarcare la sua esperienza di lungo corso che di suo, non conta una scintillante ceppa, visto che in 23 anni di carriera ha vinto una Coppa Italia e nulla più e non si è certo reso indimenticabile per il tipo di gioco proposto. In ogni caso oggi merita rispetto e incoraggiamento. La prima uscita è stata buona perché ha trovato la chiave giusta: far giocare quanto più possibile la squadra come lo scorso anno come dovrebbe fare uno nella sua posizione di testa di ponte tra due cicli, di cui uno vincente. L’infortunio di Olivera stava per rovinare tutto, ma la fortuna e la ritrovata voglia dei calciatori, magari ritornata grazie a lui oltre che per essersi tolti davanti uno che evidentemente non comprendevano, hanno sopperito al possibile disastro. La presenza di Spalletti in tribuna mi ha fatto pensare ad un invito diretto e personale del nostro. Una sorta di ghost coach temporaneo da consultare sui ritocchi necessari a riportare la squadra a giocare esattamente come faceva lo scorso anno. Mi piace pensare che Spalletti abbia scelto questa via per saldare il debito di credibilità che ha disatteso con la sua scelta di tornare a lavorare pur essendosi dichiarato troppo stanco per farlo con la squadra con cui era sotto contratto e che aveva portato al trionfo.
ARRAGGIO. Probabilmente il mix tra conflitti contrattuali col presidente, scarso feeling con l’allenatore, cazzi familiari terribili da gestire in una fase molto delicata della sua vita di calciatore, avevano spento il sorriso e la carica agonistica del nostro nigeriano preferito. In sette settimane di stop forzato, almeno uno di questi tre grandi problemi è stato risolto. Confidando che presto si risolva anche quello col presidente e lasciandogli i cazzi suoi familiari da cui tirarsi fuori come unica situazione di cui non ci spetta sapere gli esiti, oggi abbiamo rivisto una cosa che ci mancava tantissimo, l’arraggio di Osimhen. Sorridente, carico, capopopolo, cattivo nel contrasto e soprattutto senza quella cazzo di maschera da Zorro che ultimamente cominciava a marcare un poco a peste.