Home Calcio Napoli Dammi tre parole: focus sulla settimana azzurra in tre definizioni

Dammi tre parole: focus sulla settimana azzurra in tre definizioni

Ho potuto assistere a questa partita da un punto di osservazione perfetto per comprendere alcune cose veramente importanti. Ero infatti al Maradona in un seggiolino appena un po’ decentrato rispetto alla metà campo. Diciamo in linea con almeno una cinquantina dei sessanta fuorigioco di Osimhen e tanto vicino alla riga laterale da vedere distintamente i segni dei tacchetti di Nandez sugli stinchi di Kvara.

 

NERO. A fine partita, la coppia di commentatori di DAZN Zille/Giaccherini si chiedeva ed ha chiesto anche ad alcuni degli intervistati, come mai Khvicha Kvaratskhelia fosse molto adombrato nonostante la vittoria ed il gol. Probabilmente a partita in corso nell’attesa di essere chiamati a fare il commento e le interviste di fine partita devono essersi occupati d’altro, visto che era evidentissimo il motivo e di sicuro non era quello che hanno azzardato loro con un “pretende molto da sé stesso e non si perdona gli errori”. No, cazzo. Decisamente non è questo il motivo. Il motivo vero è che raramente si sono viste tante mazzate elargite ad un singolo giocatore, fatto nero come la pece a colpi di calci senza che questi sortissero una qualche sanzione, anche minima. Ci si sarebbe accontentati anche di una lieve scudisciata sui palmi delle mani e invece nulla. Nandez ha dovuto stroppiarsi da solo per accomodarsi all’uscita dopo aver passeggiato per 70 minuti sugli strumenti di lavoro del povero georgiano. Il nostro caro ragazzo per fortuna ha degli standard di sopportazione da steppa ponto-caspica, per cui si è rialzato ogni santa volta un po’ più acciaccato mantenendo sempre un certo aplomb, reprimendo, almeno stavolta, una certa rabbia che gli ha fatto perdere talvolta di lucidità. Però alla fine li ha siringati e tanto basta. Ma è umano che a fine partita gli girassero un tantino le palle.

 

GRIGIO. Evidentemente a tutti piace la narrazione dell’Osimhen tornato in un unica botta il fuoriclasse dei tempi migliori dopo un periodo di scarso rendimento per le motivazioni più disparate. Leggo e sento eiaculazioni verbali di giornalisti, analisti e tifosi per il gol e l’assist di ieri. Tutto bellissimo in questi due frangenti. Verissimo anche che il fuoriclasse gioca di merda 88 minuti e in 120 secondi vince da solo una partita ed è esattamente quello che chi scrive ha visto ieri. Magari essendo sullo stadio la mia visione era limitata alla presa diretta e devo essermi perso qualcosa, ma vi giuro che ho sentito distintamente la voce dei miei defunti atei, redarguirmi con veemenza per l’eccesso di santi chiamati a raccolta ogni volta che il nostro si faceva trovare fuori posizione o in fuori gioco. Verissimo che il ragazzo è un fuoriclasse e che tornerà a livelli altissimi, ma raccontare che questo sia già avvenuto è solo la dimostrazione che ci siamo assuefatti ad un modo di raccontare la realtà che rinuncia ai toni intermedi ed interlocutori per cercare il sensazionalismo in positivo e in negativo a seconda delle necessità, perché del grigio non frega più nulla a nessuno.

 

BIANCO. Troppo spesso ci presentiamo al mondo come il popolo delle occasioni perse, ed una di queste occasioni l’ho potuta constatare con i miei occhi nel tour che ho avuto la fortuna ed il privilegio di svolgere, insieme a qualche altra decina di persone nella pancia dello stadio qualche ora prima della partita, per vedere le aree in cui si svolge la “vita” della squadra quando ci sono gli incontri casalinghi. Ho percepito netta e chiara una situazione per la quale mi ero già fatto una idea personale prima di conoscere questi luoghi. La diatriba con il Comune sull’usufrutto dello stadio da parte della squadra del Napoli è evidentemente ostaggio dell’antipatia che il presidente si è tirato addosso con le amministrazioni che si sono susseguite nei vent’anni della sua gestione. Diciamo che ADL non brilla per savoir faire e per diplomazia quando si tratta di rivendicare quelli che ritiene essere “diritti” acquisiti sul campo. Ma ancora più evidente è l’ostinazione da parte della politica cittadina nel voler utilizzare delle motivazioni propagandistiche (“lo stadio deve essere del popolo”) per impedire che, come avviene quasi dovunque nel mondo per le squadre di alto livello, lo stadio venga gestito a lungo termine, o sia di proprietà dalla società (in questo caso l’unica) che mantiene in piedi il senso della sua esistenza.

Tra le cose che potrebbero portare denari, e molti, alla SSC Napoli, c’è sicuramente la costruzione di un museo all’interno dell’arena di Fuorigrotta (negozi e parchi giochi li lasciamo ancora tra le braccia dell’utopia) nel quale SICURAMENTE sarebbe possibile attirare decine di migliaia di turisti paganti ogni anno. Ciò che mi ha fatto comprendere il potenziale immenso è stata la meraviglia dello stato di mantenimento di questo luogo, tutto, completamente, BIANCO. Tolti gli spogliatoi, la tribuna stampa e la statua del Dio del calcio, il nulla più totale ed asettico sparso in svariate migliaia di metri quadrati. Tutto più pulito di un ospedale svizzero e più spoglio di Elodie in concerto. Certamente la bacheca non sarebbe uno dei punti forti, almeno per ora, ma tre Scudetti, una Coppa UEFA, sei Coppe Italia, due Supercoppe, le foto di tutte queste vittorie, un po’ di oggettistica varia e le maglie di decine di idoli che si sono susseguiti in quasi cento anni di storia, non sono esattamente IL CAZZO DI NIENTE che rende il bianco di quelle pareti il simbolo dell’incapacità a fare anche le cose più facili da realizzare.

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