Dopo l’ubriacatura sanremese (lo speciale “tre parole” dedicato lo trovate qui) ci voleva un po’ di Napoli finalmente. Tornare a bestemmiare in tutti i napoletani possibili, con apostrofi e senza, era la giusta conclusione di una settimana di nulla travestito da scontro sociale, generazionale e territoriale. Quest’anno col Napoli è difficile sbagliare. Ogni partita è il contrappasso che il karma ci elargisce per farci scontare la rispettiva ubriacatura di gioia dello scorso anno. A dire il vero il Milan lo scorso anno è stata l’unica squadra a siringarci a dovere almeno in una delle due sfide, ma quando accadde era già arrivato il tempo della seduta sugli allori di una annata mostruosa, la cui onda lunga dura ancora tutt’oggi.
IPOCRISIA: comincerei l’analisi di questa partita con un quesito che ho già posto in formato twitter: perché Maignan ieri non si è rivolto all’arbitro per fermare il gioco quando ha sentito la curva alle sue spalle intonare il coro storico sui napoletani “colerosi e terremotati”? Se lo standard per fermare una partita è fare il verso della scimmia ad un calciatore di colore allora andrebbe creata una scaletta. Ad esempio: terrone è ammesso? E negro? Il primo è un dispregiativo classista e razzista da sempre, anzi, nasce proprio come insulto. Il secondo, insulto lo è diventato per evoluzione lessicale nel corso del tempo, come accaduto per altre parole che si sono trasformate con gli anni in epiteti come storpio o handicappato. Quindi terrone è un po’ meno offensivo di negro? Quanto esattamente in una scala da uno a vaffanculo? Chi legge le fesserie che scrivo sa bene che una delle cose che più mi fanno schifo è il vittimismo di noi napoletani e sono tra quelli che non cerca persecuzioni nelle sciocchezze. Non siamo un popolo perseguitato, almeno non più e molte delle persecuzioni sopportate non hanno nulla a che fare con il dualismo nord/sud. Diciamo piuttosto che alcune forme di doppiopesismo, che nascono fondamentalmente dalla politica malata del dopoguerra e dalla maggior propensione dei meridionali a rassegnarsi alla corruzione diffusa, fanno in modo che il nord sia sempre più ricco ed il sud sempre più povero. Dare una sentenza sui colpevoli reali di questa condizione a me viene molto difficile, perché lamentarsi della discriminazione ma nello stesso tempo accettare di tenersi una classe politica diffusamente corrotta, richiede quanto meno un esame di coscienza che nessuno è disposto a fare. Come al solito mi sto inerpicando in elucubrazioni incompetenti, di cui chiedo umilmente perdono ai veri sociologi e meridionalisti, ma ho sempre ritenuto che avere un’opinione strutturata è meglio che non averla e sarei felicissimo di cambiare idea. Il problema è che i sociologi e i meridionalisti che conosco, queste mie idee le rafforzano invece che smontarle. Quindi confido nel futuro. Per uccidere l’ennesima divagazione e tornare al problema de quo: perché ieri la partita non si è fermata? Perché non verrà squalificato per finta il Meazza per poi ridurre la squalifica alla chiusura della curva come accaduto con l’Udinese? Non c’entra la differenza tra “negro” e “terrone” di cui sopra, non c’entra la Napoli bistrattata, non c’entra il sud e il nord. Quello che c’entra è l’ipocrisia fottuta di questo paese e la prepotenza dei forti. Più bullismo che razzismo. L’Udinese semplicemente conta nel mondo del calcio come il barbone che ruba il pacchetto di wurstel al supermercato. Bastano tre balordi, campagnoli, avvinazzati e trogloditi con residenza in Friuli che urlano insulti indegni, per trasformare un popolo che molto raramente ha dato prova di disprezzo verso “gli altri”, in una marmaglia da punire. Se invece è la marmaglia nella sua totalità (una intera curva con macchie di leopardo di coglioni emuli nel resto dello stadio) ad urlare insulti razzisti nei confronti di un popolo intero, ma questa marmaglia è espressione della “locomotiva d’Italia”, allora si finisce tutti sotto un treno. La squalifica diventa una multa irrisoria e si continua a sdoganare implicitamente l’offesa. A testimonianza del fatto che Napoli e il sud non c’entrino quanto lo strapotere politico di alcune squadre, basti ricordare quanti giocatori di colore sono stati insultati ovunque e quali siano state le sanzioni applicate. Si scoprirà che a Milano (ma anche a Roma) puoi chiamare chi ti pare come ti pare, ma se lo fai ad Empoli o a Sassuolo ti passano per le armi.
SUSSULTO: incredibile ma vero, ieri per la prima volta dall’inizio della stagione è sembrato di vedere il Napoli giocare al calcio. So che potrà sembrare un pregiudizio nei confronti dell’allenatore il sostenere che egli non c’entri una mazza con questo sussulto di decenza calcistica, ma l’osservazione dei momenti di vitalità ha portato a questo tipo di considerazione. La posizione dei calciatori in campo rispetta pedissequamente i dettami dei moduli standard. Che sia il 4-3-3, il 3-5-2, il 3-5-1-1, il 5-3-2 o il 10-0-0, ci si attiene con disciplina ai rispettivi rettangoli di competenza. Ma se bastasse disegnare dei rettangoli sul terreno e spiegare che quelli sono gli spazi in cui ci si deve muovere, pure a Tatonn’ ‘o riggiularo o a Pinuccio ‘o pisciaiuolo, basterebbe picchiettare sull’orologio, lanciare la giacca bestemmiando o ingrossare il collo come un tricheco, per potersi definire allenatori. Quello che serve invece per considerare una guida degna di questo nome, è chi quei rettangoli li trasformi in aree connesse, sapendo, tra le intersezioni di curve e rette, acchiappare per lo scroto quelli che non rispettano i dettami e rimetterli a ricamare geometrie complesse. Sarri e Spalletti sono stati esattamente questo, per capirci. Ieri per la prima volta si è rivisto dall’inizio della stagione, più di qualche sprazzo di gioco fluido e del fraseggio finalizzato. Certo, porcaccia di una miseria ladra, anche ieri davanti alla porta si è fatto schifo, ma almeno ci si è arrivati una dozzina di volte. Diciamo che la settima volta sulle ultime dieci, di gare senza segnare un cazzo di gol, ha somigliato vagamente ad una partita di calcio. L’impressione è che semplicemente i calciatori abbiano cominciato a muoversi, invece che restare a presidiare il proprio giardinetto di gramignone.
PROSPETTIVE: tra pochi giorni il Napoli avrà di nuovo la rosa al completo. Gli infortunati rientreranno tutti e i disertori annunciati indosseranno la nostra casacca a scadenza ancora per una dozzina scarsa di settimane. L’allenatore resterà per ovvi motivi quello che abbiamo, nonostante abbia una media punti imbarazzante anche paragonata a quella del collega segato prima di lui. Siamo a 7 punti dalla zona champions e a 3 dalla zona coppe-degli-sfigati-ma-pur-sempre-coppe. Tra le squadre che ci precedono, l’unica che vale il Napoli in disarmo attuale è l’Atalanta (le altre riescono ancora ad essere molto più scarse). Per arrivare quarti quest’anno dovrebbero bastare 70 punti, il doppio di quelli attuali, da fare però in 15 partite invece che in 23. Impresa apparentemente titanica ma non del tutto impossibile. Le prossime tre partite saranno il vero spartiacque: nove punti con Genoa, Cagliari e Sassuolo (non esattamente City, Barça e PSG), potrebbero proiettarci alla posizione di favoriti insieme alla Dea per il quarto posto oppure decretare definitivamente il fallimento della stagione e l’esclusione dall’Europa per il 2025. Nel primo caso si potrebbe ricreare un clima di esaltazione, questa volta non per titoli e marce trionfali ma per aver “curato” la depressione diffusa generata dallo scempio visto fino ad ora. Nel secondo ci sarebbero da piangere lacrime amare per il danno economico e per la difficoltà ad ingaggiare un allenatore di rango per la prossima stagione, ma si potrebbe cominciare a ragionare comunque su una prospettiva a breve termine di valorizzazione di una rosa che è già fortissima e che con i soldi del biondo si potrebbe rinforzare enormemente. In entrambi i casi torneremo presto ad essere felici. Per il momento: turarsi il naso e gridare come non mai FORZA! NAPOLI! SEMPRE!