Il bestemmione apocalittico ha albergato nell’epiglottide per 80 minuti circa. Solo quel po’ di ottimismo liso ma ancora sopravvivente ha fatto sì, col senno di poi a giusta ragione, che si attendesse la fine della partita per farlo eventualmente esplodere generando un buco nero che risucchiasse nell’orizzonte degli eventi i vari Mazzarri, ADL, Osimhen, procuratori, Zielinski e tutti i chitemmuorti annessi e connessi. Fortuna vuole che le partite durino un centinaio di minuti e questa volta, nonostante vari tentativi di massacro delle ultime speranze di galleggiamento nelle sfere dignitose di classifica, i nuovi acquisti e il vecchio georgiano hanno ridato un senso all’attesa per la prossima partita.
PRIMA: è assolutamente normale per tutte le squadre, in periodi di vacche magre, che gli intervalli tra due partite siano passati a contare i peli sulle chiappe di ciascuno dei protagonisti per vedere se per sfregamento, sculacciamento o inchiappettamento, si sia lasciato sul selciato qualche bulbo da analizzare al microscopio per trovare le ragioni del deterioramento epidermico. Nel caso del Napoli sono molto spesso i protagonisti stessi a dare modo al bulimico parterre di analisti più o (soprattutto) meno professionisti, di attrezzarsi di dermatoscopio alla ricerca del quotidiano pelo scippato. Ecco che in una settimana Osimhen rende noto al mondo che passerà il resto della stagione da corpo estraneo in un ambiente da cui si sente lontano da sempre e per sempre, Zielinski esce allo scoperto con la sua operazione di autocessione gratuita ad una diretta concorrente, sgamando che la narrazione dell’amore per Napoli per cui aveva rinunciato ai milioni arabi era un modo per guadagnarsi qualche indulgenza prima del nuovo matrimonio (peraltro del tutto legittimo), Mazzarri arriva a sostenere, facendo finta di crederci, che il Napoli sia in crescita (dopo sei partite su otto con zero gol fatti) facendo rollare coppetielli anche a chi non sa cosa siano i coppetielli e cosa significhi rollare e, last but not least, il presidente che in una conferenza stampa-spettacolo, come sempre, ma veramente sempre, riesce a dire nella maniera sbagliata tutte cose sacrosantissime (il pezzo da medaglia al merito dei fecozzoni in bocca è stato il foglietto con i “numeri” di Lindstrom). Insomma proprio tutti ci stanno provando a fiaccare la resistenza del sostegno alla squadra e se lo scorso anno la nostra vita era l’intervallo tra una partita e l’altra del Napoli, quest’anno ogni partita del Napoli ci toglie un pezzo di vita.
DURANTE: questa, di partita, ha dato per esempio una perfetta rappresentazione del fatto che no, il Napoli non è diventato scarso e no, il nono posto in classifica non ci rende un novello Leicester pronto a finire in B dopo i fasti dovuti ad una marcia casuale più che trionfale. Nella partita col Verona si è avuta la sensazione nettissima dei due problemi principali che affliggono la squadra in questo momento che poi convergono sullo stesso risultato di una incapacità di fornire prestazioni decenti: il pessimo livello di concentrazione dei calciatori e la scarsa capacità dell’allenatore di intervenire su questo aspetto. In una squadra capace di muoversi velocemente e con i giocatori “sul pezzo”, perfino gli schemi paleozoici del vetusto Mazzarri potrebbero riuscire a dare un qualche risultato, a maggior ragione perché, presi singolarmente, i ragazzotti sono ancora tra i più forti calciatori del campionato. La sterilità del gioco del Napoli per tratti lunghissimi e per partite intere dipende esattamente e ancora dal fatto che i calciatori sono FERMI per lunghissimi tratti della partita. Spesso questo accade per il fatto di non sapere esattamente come rendere produttiva la manovra e questo a cascata genera interi quarti d’ora di stasi assoluta dove la palla viaggia tra i piedi di calciatori assolutamente fermi nella propria posizione. Vista dall’alto degli spalti, molto più e molto meglio che in televisione, si vedono 10 calciatori immobili in attesa degli eventi, con la palla che si muove in avanti tra i piedi dei pochi in grado di cercare varchi (Lobo, Politano e Kvara per esempio). Questo dà il tempo alle difese di schierarsi e di attendere i calciatori e di rendere difficilissimo perfino per un mostro come Kvara di fare le cose fantastiche che gli abbiamo visto inventare in passato. Aggiungiamo a questo il fatto che nelle partite in cui si arriva a tirare, 9 volte su 10 si spara la palla in bocca al portiere ed ecco che Napoli-Verona stava per diventare l’ennesima partita dell’anno da depressione infrasettimanale. Cosa è accaduto allora? Che quelli completamente liberi dai retaggi del passato recente, coinvolti per la prima volta in maniera determinante, hanno portato la scarica di adrenalina necessaria. Lindstrom, Ngonge e Mazzocchi hanno dato una ripulita alle candele e per quindici minuti si è visto il motore della squadra rombare di nuovo. E un Napoli che corre, con i calciatori che ha in rosa, ancora oggi e perfino col vetusto in panchina, può marciare in surplace verso l’unico obiettivo realisticamente raggiungibile quest’anno: il quarto posto.
DOPO: già, il quarto posto. Alla fine della partita di ieri eravamo ad un punto dal quarto posto. Certo, poi l’Atalanta ha paliàto con sadismo efferato la scarsissima Lazio (1 punto su 6 con loro sarà una delle maggiori vergogne da espiare ad imperitura memoria di quest’anno balordo) riportandosi a +4, ma il senso di quella classifica temporanea sta nel fatto che in una stagione dove abbiamo giocato TUTTE partite di merda, dove persino le due vittorie iniziali con Garcia in panca e qualche gol di scarto sono sembrate casuali, riusciamo ad essere ancora tra quelli che se la stanno giocando. La sensazione di essere, per i risultati scadenti, sulla soglia della sfida col Feralpi Salò nel 2025, è dovuta all’ingannevole percezione della realtà degli ultimi anni in cui un pareggio o una sconfitta non erano altro che delle battute d’arresto quasi sempre spiegabili. Oggi, con un gioco di merda, due allenatori sbagliati per colpa di un allenatore paraculo, i calciatori che se ne vanno per i cazzi propri e il vociare esasperato di chi, da dentro e da fuori, preferisce demolire invece che indulgere, siamo lì a giocarci il quarto posto che vale quanto quello di vicecampioni. Se è giusto chiedere un po’ di concentrazione a chi scende in campo è altrettanto giusto che chi deve sostenere lo faccia concentrando le proprie forze sul sostegno. Se il tifo, da solo, per alleggerire gli animi e consentire di giocare mentalmente più liberi, valesse un punto a fine campionato, potrebbe portarci in Europa ancora una volta e per la sedicesima consecutiva.
Facciamo la nostra parte, altrimenti tifare a che cazzo serve?