Home Calcio Napoli Dammi tre parole: focus sulla settimana azzurra in tre definizioni

Dammi tre parole: focus sulla settimana azzurra in tre definizioni

Una cosa l’abbiamo capita: 1-1 è il risultato che rappresenta perfettamente il “nuovo” Napoli di Calzona, visto che 4 delle 7 partite disputate dal bravo allenatore vibonese sono terminate con questo risultato. Il suo Napoli è imbattuto in campionato ed ha perso solo con il Barcellona in Champions, che non è esattamente l’Empoli, che pure ci aveva castigato ed era costato la panca a Garcia. Il bicchiere è decisamente mezzo pieno ed il confronto è positivo rispetto al Napoli macchinoso e seduto del francese, mentre è impietoso col Napoli inguardabile e privo di ogni decenza tattica di Mazzarri. Quello che salta ancor più all’occhio però è il dato che in 6 delle 7 partite in questione il Napoli ha preso sempre 1 gol e nella restante (sempre quella col Barcellona) ne ha presi 3.

 

DIFESA: Che la difesa fosse il punto critico di questa squadra è evidente dal giorno in cui il Bayern ha pagato la clausola di Kim (trasformando in un amen il coreano in una mezza sega, passato dall’essere considerato uno dei tre migliori centrali del mondo, a rincalzo di un trentenne scuola Tottenham di cui solo i più profondi conoscitori possono ricordare le “gesta”). Nel Napoli la scommessa per sostituire il fuoriclasse asiatico avrebbe dovuto essere Natan, che si è rivelato presto tutt’altro che solido, benché probabilmente sfruttato poco e male dai due allenatori dell’epoca buia. Juan Jesus fa il suo e lo fa con abnegazione, grinta ed anche con buona qualità, al netto di un paio di errori importanti e costosissimi. Rrahmani, pur molto ma molto meno lucido dello scorso anno, resta un buon centrale di difesa. Ostigard è la grande incognita, visto che viene considerato una terza scelta anche se all’apparenza, quando presente, sbaglia poco e presidia con disciplina la sua zona soprattutto con l’abilità di colpitore di testa che ne fa, per questo fondamentale, uno dei migliori in circolazione. Pochi quindi sono i difetti di questa difesa, ma allora perché si prende almeno un gol a partita? Ma soprattutto perché si vivono le partite dal calcio d’inizio con la certezza che quel gol, e talvolta non solo quello, prima o poi finirà alle spalle del nostro portiere? Diciamo che la sensazione è che la linea difensiva si muova in maniera meno compatta di qualunque altra difesa azzurra dell’ultimo decennio e spesso si aprono delle voragini inspiegabili. Nella partita di ieri (come in quella con la Juventus) solo il caso e la mediocrità o la scarsa lucidità degli avversari sotto porta non ha trasformato il passivo in qualcosa di più sostanzioso. Calzona su questo fronte dovrà lavorare molto per ottenere qualche miglioramento, ma resta il fatto che i calciatori a disposizione, pur tutti di un buon livello, insieme non fanno il blocco granitico che abbiamo visto in successione con Albiol, Koulibaly e Kim. JJ è leader di spogliatoio ma non leader di campo, Rrahmani è un ottimo secondo, Ostigard è invisibile e Natan è un’incognita. E dietro di loro c’è una saracinesca solidissima che della saracinesca ha tutte le qualità, comprese quelle di difendere bene ma di non parlare.

 

LEADER: sempre per restare dalle parti delle retrovie un discorso a parte riguarda il capitano Di Lorenzo. Per chi scrive resterà sempre un elemento fuori da ogni discussione per come ha saputo svolgere alla perfezione il ruolo nell’anno del trionfo, per la sua serietà e per le sue indiscutibili qualità calcistiche di altissimo livello. Il problema è che vederlo fare più errori in ogni partita del totale fatti nelle 38 partite dello scorso anno (e non è un’iperbole) provoca un dispiacere al limite del dolore fisico. Non ha colpe particolari se non probabilmente un leggero limite di concentrazione totalmente inesistente nell’anno dello scudetto. Semplicemente, banalmente, avrebbe bisogno di riposare mentalmente ancor prima che fisicamente. Lo dimostra il fatto che a differenza del passato ha perso quell’aplomb che ne faceva un leader naturale e si lascia andare a manifestazioni di nervosismo che non sembravano appartenergli. Ora ci si metterà questa inutilissima trasferta negli USA per giocare due inutilissime partite con la nazionale ed al ritorno difficilmente lo troveremo fresco come una rosa e pronto ad incidere in maniera determinante sulle 7 vittorie su 9 partite che servirebbero per sperare in questa qualificazione in Champions, che nonostante i progressi clamorosi fatti nelle ultime settimane, resterebbe un evento miracoloso. Speriamo solo che Spalletti paghi una rata del debito di coscienza che ha con Napoli e col Napoli e sperimenti il neo convocato Bellanova sulla fascia destra in modo da restituirci il nostro grande capitano con solo il jet lag da smaltire.

 

ACERBI: confesso che sono rimasto molto sorpreso dalla vicenda Acerbi-JJ. Sarà la simpatia naturale (ma molto spesso superficiale) che si destina di default ad un giovane che ha sconfitto per ben due volte il cancro, ma mi sono sempre figurato Acerbi come uno dei modelli di riferimento nella moltitudine mediocre che popola i rettangoli di gioco. Scoprire che abbia potuto dare del “negro” a Juan Jesus lo risucchia istantaneamente nel girone dei poveracci senza cervello che non si sarebbe mai immaginato che potesse averlo tra i suoi dannati. Le scuse (accettate) a Juan Jesus non fanno alcuna differenza. In un mondo il cui tasso evolutivo medio è sullo standard dei cercopitechi, usare quella terminologia è un sigillo, un marchio indelebile che determina senza possibilità di recupero una visione del mondo. Non può essere derubricato a scherzo o a reazione istintiva o a qualunque altra scusante che ne sminuisca il significato. Se sei capace di dare del “negro” ad un avversario significa che, consciamente o meno, pensi che quella parola sia significativa di quella differenza che è costata migliaia di vite e decenni di lotte per poterla rendere impronunciabile. A maggior ragione se sei uno che viene visto praticamente da tutti come un eroe. Acerbi per poter ricucire una credibilità a prova di strappi avrà bisogno di un lunghissimo tempo trascorso a fare ammenda per quello che ha pensato, molto di più che per quello che ha detto.

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