Va bene. A ‘sto giro lamentarsi di quanto il Napoli giochi di merda, con una flotta intera di autoarticolati a difesa dell’area di rigore e l’attacco più sterile e insignificante dai tempi di Zalayeta, probabilmente sarebbe ingiusto. Tra squalifiche, coppe d’Africa e infortuni, si può stimare la potenza di fuoco di questa squadra nella giornata odierna intorno al 25/30% rispetto alla formazione tipo. Facciamo finta di ignorare che con la formazione tipo abbiamo giocato ancora più di merda. Per oggi, e con i chiari di luna attuali, il punto all’Olimpico è senza ombra di dubbio un punto guadagnato.
ALLUCINAZIONE: vedere alla fine della partita quel dato statistico che sentenziava ZERO tiri in porta, sapere poi che in 6 delle ultime 8 partite di campionato (SEI SU OTTO, CAZZO!!!) si siano omaggiati agli avversari del clean sheet, porta davvero a chiedersi se non sia stata solo una traveggola collettiva tutta la storia del Napoli di almeno gli ultimi dieci anni, culminata col miracolo di otto mesi fa. Quella di stasera è stata una partita da manuale per una squadra che deve salvarsi giocando male e portando a casa la pelle. Una roba indegna per chi deve andare a competere per gli ottavi di Champions contro il Barcellona tra pochi giorni e che porta cucito lo scudetto al centro della maglia di questa stagione. Diciamo che ci sono talmente tante concause, dolose, colpose e casuali, che dovremmo cominciare a smetterla di recriminare e pensare al lavoro che si sta apparecchiando per il prossimo decennio. Conoscendo le abilità imprenditoriali del capo, checché ne dicano i suoi pochi ma molto rumorosi detrattori, sappiamo per certo che questa è una fase di transizione di quelle che fanno parte della storia di un club e che se ne verrà fuori in tempi ragionevoli.
PROGETTO: posto che Mazzarri era già appartenente al passato prima ancora di firmare il contratto e che Garcia è stata una scelta dal mucchio dei rimasugli dovuta all’emergenza generata dal Gran Paraculo Certaldese, immaginare che verrà scelto un allenatore di alto rango o di grande prospettiva per la prossima stagione è piuttosto scontato. De Laurentiis guarda a Mazzarri come l’infermiere che non deve far morire il paziente nell’attesa che arrivi il dottore. Conoscendo la sua proverbiale “oculatezza” nell’impiego del denaro (le virgolette sono un appiglio-omaggio ai detrattori di cui sopra, che quest’anno si possono finalmente ritenere appagati), non esiste al mondo che abbia fatto SEI acquisti nel mese di gennaio (Mazzocchi, Ngonge, Perez, Dendoncker, Popovic e Traoré), senza avere la certezza di conoscere il nome di chi guiderà la squadra il prossimo anno e senza aver dunque concordato con lui le mosse per le future scelte tattiche e per risalire in fretta la china. Si pone fortemente il problema che il rischio di non entrare affatto in Europa possa ridimensionare le capacità di manovra, ma la certezza assoluta dell’uscita del mercenario finto-biondo dalla compagine e la conseguente entrata di una somma cospicua nelle casse, dovrebbe ridurre l’impatto del non dover uscire dai confini per una stagione, cosa che peraltro potrebbe generare l’effetto juve di quest’anno, che con una squadra poco più che decente, sta riuscendo a giocarsela ancora in entrambe le competizioni a cui partecipa.
BIONDO: raramente ricordo un calciatore del Napoli con una sperequazione così mostruosa tra talento e capacità comunicativa. Il sospetto che abbia sempre considerato Napoli un semplice passaggio è stato confermato anno dopo anno, per ben 4 anni, dal fatto che nonostante vivesse in questa città, abbia continuato ad esprimersi in pidgin scegliendo deliberatamente di non imparare neanche a dire buongiorno nella nostra lingua. Per puro folklore ha messo in cascina un paio di maleparole in napoletano ed il “forzanapolisempre” di ordinanza, ma non ha mai neanche lontanamente coltivato né l’appartenenza sincera (quella di Mertens o Hamsik, per capirsi) e nemmeno la sua versione farlocca tipica dei calciatori, pronti a sbaciucchiare la maglia ad ogni occasione e a giurare fedeltà sempiterna al popolo e ai colori salvo rivendersi alla prima occasione e non necessariamente al miglior offerente. In questo senso è un calciatore 2.0 a pieno titolo e non c’è nulla di male in questo, anzi. Collocarsi in una zona ben definita di indipendenza totale è coraggioso e dà un’idea molto definita del carattere cosmopolita che ha scelto di coltivare. Quello che non va nel soggetto è la sua “ignoranza” nella comunicazione, verbale e non verbale. Ha iniziato la stagione scalpitando per andare via e giocando per i primi tre mesi con il muso lungo, generando una reazione a catena di depressione diffusa e soprattutto giocandosi carte vergognosamente equivoche, che hanno portato i suoi sostenitori africani a ritenere ancora oggi Napoli (NAPOLI, CAZZO) una piazza razzista. Il tutto per una presa per il culo innocua uscita fuori sulle reels della pagina ufficiale del Napoli su TikTok. Compreso che per lui i milioni sauditi per quest’anno erano tramontati, ha finto un ritorno alla difesa dei colori condendo le sue interviste di “concessioni” alla piazza e alla squadra, continuando in tutto ciò a giocare alla metà della metà del livello dello scorso anno. Alla fine ha compreso che firmare il contratto con il Napoli a 10 milioni l’anno (DIECI MILIONI, CAZZO) non solo gli conveniva, ma era un vero è proprio affare, ha firmato per poi annunciare al mondo che quella firma non aveva nulla a che fare con la squadra del Napoli, ma era un modo per trarre il massimo beneficio economico da questa stagione di merda, pronto a fuggirsene alla prima occasione per piazze più prestigiose. Non ti ho mai amato, mai ti amerò. Ti abbiamo preso bambino sperando di farti uomo, ti abbiamo fatto solo calciatore. Peccato