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“Se non ti laurei sei un fallito”: il fenomeno dei suicidi tra i giovani universitari

di Cinzia Rosaria Baldi *

Si chiamava Antonio ed aveva solo 25 anni il ragazzo che si è tolto la vita lanciandosi nel vuoto  la mattina del 19 luglio, da una delle grandi finestre della facoltà di Lettere e Filosofia della Federico II, in via Porta di Massa.
Ancora una volta lo stesso triste copione. Si inventano esami, si inventano sedute di laurea inesistenti, addirittura si inventa la rilegatura della tesi di laurea. Una menzogna che diventa un vortice diabolico da cui sembra non esserci alcuna via di uscita se non la morte. La famiglia, gli amici, gli insegnanti, siamo tutti noi che dobbiamo favorire un clima di verità, di accoglienza, apertura, confidenza verso chiunque incontriamo, conosciuto o sconosciuto, perché il nostro modo di parlare è di stare al mondo, e persino il nostro modo di guardare l’altro, condiziona la vita di chi ci sta intorno. Bisogna uscire dalla logica del “Se non ti laurei subito sei un fallito” e favorire prima di tutto uno sviluppo umano. Bisogna invitare l’altro ad accettare con umiltà ed a saper dire “Non ci riesco, mi sono bloccato”,  senza che si senta giudicato come un incapace. Si può sempre ricominciare, a qualsiasi età .
Occorre cambiare mentalità, e occorre velocemente. Perché chissà quanti altri ragazzi si ritrovano nella stessa situazione per uno, due, tre, dieci esami e non lo sapremo mai,  ma i dati europei devono far riflettere,  perché  pongono l’Italia al secondo posto nella classifica dei peggiori risultati universitari europei ed inoltre rivelano che  il nostro paese avrebbe registrato 523.900 abbandoni solo nel 2017.
In linea con questa premessa alcuni studi rivelano che i suicidi per motivi di studio tra i giovani si verifichino nella popolazione degli universitari, ritenuta probabilmente più fragile, con livelli di depressione e ansia molto più alti rispetto alla popolazione generale. Sembrerebbe proprio che lo studio sia uno dei motivi scatenanti di sviluppo di stati depressivi, così come l’essere iscritti all’Università.
Secondo i dati Istat sono circa 4 mila i suicidi in Italia ogni anno: il 5% riguarda giovani sotto i 24 anni e molti sono studenti  liceali o universitari La fascia di età più esposta, infatti,  a questo fenomeno sembrerebbe essere quella dai venti ai trentanni, i giovani adulti.

Perché i giovani si tolgono la vita?

I suicidi tra i giovani prevalentemente per motivi di studio è un fenomeno latente,  che purtroppo si sta diffondendo. Ma quali sono le cause che inducono i giovani al suicidio? Paura di deludere, rischio di fallire, inadeguatezza, i motivi possono essere tanti. Secondo alcuni studiosi sembrerebbe che il perfezionismo mal adattivo ricoprirebbe un ruolo importante. ‍
Il perfezionismo è quella tendenza a raggiungere sempre il massimo risultato dando il massimo della prestazione. Si tratta di una caratteristica che coinvolge tanti aspetti dell’esperienza cognitiva, affettiva, relazionale e sociale dell’individuo. Volersi migliorare è certamente stimolante, ma quando questo desiderio porta ad un’eccessiva severità nei confronti di sé stessi, e, quindi, a stati di malessere, il perfezionismo diventa patologico. È come se alcune persone non riuscissero a trarre soddisfazione da nessuna impresa portata a termine. Niente è mai come vorrebbero, manca sempre qualcosa per raggiungere la perfezione sperata, per  cui un esame non viene mai affrontato per paura di non essere mai abbastanza preparati, o magari viene ripetuto più volte per un voto migliore con il risultato di allungare i tempi di permanenza all’Università e di aumentare il senso di fallimento e incapacità.

Perché l’università può indurre  al suicidio?

La stessa organizzazione  universitaria disorienta i giovani, perché lo studio  è prevalentemente teoretico, la metodologia di apprendimento  e gli esami sono lasciati alla discrezione e alle tempistiche del singolo  ed  è difficile l’approccio con il corpo docente. Gli uffici didattici non hanno abbastanza personale per seguire gli studenti e rispondere a tutti dubbi. Gli studenti  hanno preparazioni diverse, le scuole infatti, non sono a livello didattico tutte  uguali.  L’università dovrebbe, invece, essere una struttura capace di adattarsi alle esigenze degli studenti, più flessibile, meno burocratica, finanziariamente accessibile attraverso gratuità, borse di studio, alloggi pubblici.
 Ma il malessere spesso non nasce dall’Università ma esiste da prima e viene acuito dagli impegni universitari.

Il ruolo della famiglia

 Spesso sono proprio i genitori che possono far nascere nei ragazzi il timore di fallire e la  paura di deludere:  si tratta a volte di genitori troppo severi ed esigenti , o di genitori che proiettano sui figli  aspettative troppo alte, lontane dagli interessi del  giovane studente.  Genitori che vogliono realizzare se stessi tramite il percorso del figlio e ritengono di farsi  valutare attraverso il successo personale del figlio.
Vari sono i fattori che determinano il  successo  scolastico ed accademico ma, come vari studi hanno dimostrato, fondamentale è soprattutto il supporto  della famiglia che  determina un maggiore profitto accademico, ovviamente se non si trasforma, invece, in una forma di pressione.
La famiglia è un microcosmo e rappresenta il primo nucleo sociale all’interno del quale ogni persona si forma e delinea il proprio modo di essere con cui si rapporterà con il mondo esterno;  la presenza di genitori attenti e disponibili ad accogliere i bisogni emotivi e relazionali dei propri figli, permette di creare rapporti più profondi ed emotivamente forti all’interno della famiglia. Proteggere un bambino significa essere presente in ogni circostanza. Il genitore è una figura di riferimento fondamentale che fornisce nutrimento, affetto, attenzioni, che sa anche sostenere, consolare, aiutare il piccolo a gestire le sue emozioni e le sue paure. Ciò consente al figlio di esplorare l’ambiente circostante con libertà, fiducia e sicurezza personale.  Al contrario iperproteggere,  il prestare un’attenzione eccessiva, orientando il comportamento dell’altro verso una certa  direzione,  piuttosto, che lasciarlo libero di manifestarsi in maniera spontanea,  può lasciar passare  il messaggio che si mette in discussione l’ operato del figlio:  ed il “non sentirsi libero di fare, di agire”, si trasforma in “non ci riesci da solo”, “sei fragile ed indifeso”.  Cosa succede a questo bambino una volta divenuto adulto? Inizia a sviluppare  manifestazioni di ansia, attacchi di panico, fobie, che potranno presentarsi già in tenera età e influiranno negativamente sulla sua crescita, tanto da ridurre la sua capacità di far fronte agli impegni della vita quotidiana. In particolare quando dovrà allontanarsi da casa (uscire, stare con gli amici, andare a scuola, andare all’università, viaggiare per qualche giorno) o quando tenterà di percorrere una strada diversa da quella ‘proposta’ come nel caso della scelta del percorso di istruzione.
Quando ci sia accorge  che qualcosa non va  e che nostri figli hanno difficoltà nello studio è importante non restare fermi ma sostenere e cercare aiuto prima che sia troppo tardi.  Non è una colpa non riuscire portare a termine gli studi:  è necessaria una maggiore sensibilità rispetto ai temi del  disagio psicologico e  maggiore ricettività per  fenomeni  come i suicidi giovanili, tutto  ciò  spesso genera in noi inibizioni legate ad errati sensi di colpa, vergogna  oppure non si sa a chi rivolgersi, quanto costano le terapie; purtroppo il benessere psicologico  non è ancora una priorità, nell’ambito dell’assistenza pubblica territoriale, ma per fortuna almeno presso le scuole cominciano a strutturarsi i servizi psicologici che costituiscono un primo approccio per studenti e famiglie.
* psicologa età evolutiva
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