
Non sono né un buonista né un giustizialista, sono un garantista. L’ho scritto più volte su questo sito: “Il covid-19 deve rappresentare l’occasione per una riforma del calcio che tenesse conto di più aspetti e più fattori per migliorarne l’organizzazione, la struttura, la qualità dei dirigenti, troppi dei quali sono convinti di godere di un’immunità che manco i parlamentari…”. L’apertura dell’inchiesta su Malagò da parte della procura di Milano per falso nel verbale dell’elezione di Micciché come presidente della Lega di A, con tanto di registrazione anonima dell’assemblea recapitata in procura, il caso Lotito-Zarate riproposto dal programma Le Iene a distanza di anni, confermano il marcio che c’è nel nostro pallone e che purtroppo molti giornalisti hanno volutamente ignorato e continuano ad ignorare per fini ed interessi editoriali e personali, diventando servi del sistema.
La stessa definizione delle date in cui disputare le gare di ritorno delle semifinali di Coppa Italia è diventato oggetto di disputa tra Juve, Inter, Milan e Napoli. Una battaglia sotto traccia in atto per 24 ore di riposo in più nonostante il governo ancora non abbia dato il via libera per far giocare le partite del 13 e del 14 anticipandone una al 12, visto che la ripresa è stata autorizzata solo dal 20 giugno. L’abbiamo scritto, rivolgendoci a Gabriele Gravina, che la tregua da lui raggiunta faticosamente con i presidenti di A, grazie anche all’aiuto di Paolo Dal Pino, non sarebbe durata a lungo. I fatti degli ultimi giorni ci stanno dando ragione. Tra talpe, anonimi delatori, corvi e iene il mondo del calcio italiano sembra vivere ormai di ricatti, vendette trasversali, minacce neanche più tanto velate di svelare le “prodezze economiche” in termini di bilanci, plusvalenze e conti che da rossissimi arrivano in parità, di molti presidenti.
Gravina ha sciolto solo uno dei nodi scorsoni che affliggono il calcio italiano, lottando strenuamente per farlo ripartire. Non creda di essersi fatto tutti amici con la sua battaglia contro Spadafora. Molti presidenti si auguravano lo stop, ed ancora ci sperano, facendo alla fine solo buon viso a cattivo gioco. La quarantena imposta per 14 giorni dal Cts in caso di contagio di un componente del gruppo squadra è un paletto significativo che se non verrà rimosso o ridotto a 7 giorni, potrebbe decretare lo stop definitivo del campionato. E le soluzioni alternative proposte, il piano B con eventuali play off e play out, il piano C con scudetto non assegnato ma definizione della classifica basandosi su una media finale frutto di calcoli su vari punti delle singole squadre – il famoso algoritmo – sono mal viste da più parti. Questa mancanza di coesione, di chiarezza tra le componenti della serie A, ha fatto e fa il gioco di Spadafora e di quella parte del governo avversa al calcio milionario che vive su un altro pianeta rispetto allo sport.
C’era bisogno di altro per convincere i politici a togliersi di traverso e mettersi a remare insieme a Gravina in aiuto di un’industria che versa annualmente nelle casse dello Stato quasi un miliardo e mezzo di euro. Per ora Gravina ha salvato solo momentaneamente se stesso e il calcio che, però, non ha perso troppo tempo per riproporre di nuovo la sua faccia peggiore, scendendo al livello delle più basse e ridicole beghe ed inciuci dei politici. E allora: God save Gravina… Sperando che la palla ce la faccia a rotolare sull’erba fino ai primi di agosto. Altrimenti?