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A Montesanto padre Michele distribuisce mille pacchi al giorno a chi non ha nulla

L’emergenza Covid ha rilanciato attività di carità cristiana, che a Napoli per la verità non sono mai sparite. Ma è evidente che in un tessuto sociale sfilacciato le iniziative caritatevoli sono diventate in questo periodo ancor più decisive per aiutare chi soffre a superare il drammatico impatto con gli effetti economici devastanti che ha provocato la pandemia.

Tra le tante ci piace segnalare quella di padre Michele Madonna, parroco di Santa Maria di Montesanto: dal momento in cui la crisi è diventata più acuta questo sacerdote conosciuto e amato da tutti nella zona trasforma ogni giorno i soldi ricavati dalle questue dalla beneficenza in mille pacchi spesa che distribuisce personalmente a chi ne ha bisogno.

 “Abbiamo cominciato con gli anziani ammalati che vivono da soli, poi siamo venuti in contatto con tante famiglie che nell’emergenza covid19 si sono trovate senza nulla, c’era chi mangiava passate di pomodoro, perché avevano solo quelle”.

Non è stata un’impresa facile, perché mille pacchi al giorno sono un numero impressionante, che prevede non solo dedizione ma anche organizzazione:  “Ci siamo riusciti – racconta il parroco – grazie alla generosità del quartiere. Avevamo cominciano con i fondi della parrocchia ma poi ci sono arrivati sostegni economici da tantissimi napoletani che abitano nella zona. Per la distribuzione non abbiamo problemi, perché tanti giovani hanno fatto un cammino spirituale che permette loro di andare oltre la paura. E così le spese giornaliere sono salite a 300, poi a 600 e ora siamo a mille”.


    Mille pacchi alimentari per famiglie indigenti: “Abbiamo trovato anche bimbi denutriti nelle case. Famiglie di cui nessuno sapeva niente e che ci sono state segnalate da abitanti del quartiere, erano chiusi in casa, terrorizzati dalla pandemia”.


    Ovviamente chi si è trovato nelle difficoltà maggiori è stato chi sopravviveva con piccoli lavoretti al nero, i precari e soprattutto gli immigrati: “Aiutiamo Filippini, famiglie dello Sri Lanka. Tutto è iniziato il 9 marzo, proprio alla vigilia del lockdown. Ci fermammo a riflettere sui tanti anziani a cui portiamo la comunione a casa. Abbiamo scritto loro una lettera dicendogli che non gli avremmo più potuto portare l’eucaristia ma che saremmo stati loro vicini, perché sapevamo che non potevano uscire a fare la spesa”. Un segnale importante all’inizio della pandemia e che è proseguito per tutte queste settimane: “È stato un segnale di speranza – afferma padre Michele – perché chi era chiuso in casa da solo in quei giorni ha pensato che sarebbe morto lì, da solo”.
   

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