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Dai successi col Milan alla Decima col Real: Carletto vince perché è bravo e meticoloso

Il personaggio. Il nuovo allenatore del Napoli, cresciuto con Sacchi, vanta anni di esperienza e grandi vittorie nei maggiori campionati europei

Per tutti è Carletto. A cominciare da Arrigo Sacchi che lo considera come un figlio. Carletto, che potrebbe diventare Re Carlo. Un nome che a Napoli amano un po’ tutti. Non soltanto i nostalgici dei Borboni. Carletto è stato mediano di lotta e di governo. In mezzo al campo si faceva sentire, eccome. Lo conosco da tempo. Avendolo seguito in campo e fuori.

Da secondo di Sacchi in Nazionale si fece apprezzare per la meticolosità con la quale “radiografava” i comportamenti degli azzurri in campo sia durante le partite ufficiali che in quelle di allenamento. Microfono e registratore. Poi, sbobinava et voilà ad Arrigo erano fornite preziose indicazioni su ciascun elemento: azzurrabile, azzurro a tutto tondo, azzurro in prospettiva. Meticoloso il Carletto. Con la capacità innata di fare tesoro di ogni spicciolo vissuto in campo (ricco di trionfi), immagazzinato per l’ancora lontano futuro da allenatore. Che sarebbe stato egualmente esaltante, a riempire le bacheche delle società per le quali ha lavorato. In Italia e all’estero dove ha vinto con il Chelsea, il Paris Saint Germain, il Real Madrid ed il Bayern.

Re indiscusso del cinque-nazioni (Italia compresa), un record. Ne ha fatta di strada il ragazzo semplice di Reggiolo. Sospinto da una volontà di ferro, dalla tenacia tipica della sua terra contadina. Il debutto con la Reggiana per farsi le ossa, prima volta da solo. E fu naturale il passaggio al Parma che fu del suo maestro Righetto. E fu nella terra amante del melodramma, non per nulla nello stadio risuonano le note della marcia trionfale dell’Aida, che da osservatore ebbi un dubbio sulle capacità di Ancelotti allenatore. Accadde quando scrisse sulla lista di sbarco il nome di Gianfranco Zola. Ma che cosa fai, Carletto. Il tamburino sardo non fu giudicato adatto al suo gioco. Un errore, un’omissione. Fatto sta che Zolino se ne andò al Chelsea a suonare il piano nella bella casa londinese e ad incantare con le sue giocate da “scatola magica” fino a ricevere la nomina a baronetto. Carletto, Carletto. Nel frattempo, capimmo che avendo fatto una vita da mediano non è che gli piacessero tanto i trequartisti. Salvo poi, di trovarne dovunque sia andato ad allenare. E convincerli che aspettare tra le linee non era cosa buona e giusta. Perciò ha tanto amato Arturo Vidal che a Monaco gli assicurò lotta, governo e fantasìa. L’impresa più storica fu la conquista della Decima in quella Madrid calcisticamente spocchiosa. Da porre l’accento sulla sua vendetta a danno della Juve che sconfisse ai rigori nella finale di Champions a Manchester (io c’ero). Lui che fu chiamato in casa della Madama. E che fu accolto dagli ultras (li odio tutti) al grido di: un maiale non può allenare.

E invece Carletto fece bene, non benissimo. Perdendo due campionati sul filo di lana. Il secondo nella bagnata sede di Perugia con arbitro Collina: l’uomo venuto dalla pioggia. “Per me la Juve è stata sempre una rivale”: hai capito chi ha scelto Aurelio Primo? Doppia sfida a Madama. E un consiglio per tutti. Quando vedete che il sopracciglio sinistro di Carletto s’inarca fino a diventare un triangolo quasi isoscele, bene, lasciatelo perdere. Vuol dire ch’è incavolato di brutto. Auguri, Carletto. Napoli in fin dei conti ama “il re”.

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